San Potito, passeggiata alla collina che fu dimora degli artisti
Napoli, città di mare ma anche di colline. Una di queste è quella detta di San Potito e in seguito della Costigliola dal nome di una masseria lì presente agli inizi del cinquecento.
La collina ha come limiti naturali due antichi alvei di deflusso delle acque piovane che prima dell’urbanizzazione erano facilmente riconoscibili. A sud, la profonda fenditura del Cavone, oggi via Francesco Saverio Correra (ne abbiamo parlato qui) scavata nel massiccio tufaceo di cui è costituita la collina, dai ruscellamenti provenienti dalle alture del Vomero. Mentre a nord il limite era dato dall’Infrascata, ovvero l’attuale via Salvator Rosa che si inerpica verso il Vomero.
L’antica collina selvaggia
Anticamente la zona si trovava fuori dalle mura della città e in pratica l’intera collina era di proprietà della famiglia Carafa. A vedere l’agglomerato di case che è oggi sembra impossibile immaginarsi il luogo in passato, eppure questo rimase rurale e selvaggio fino al periodo vicereale, quando, nonostante il divieto di costruire al di fuori della cinta muraria iniziò una massiccia urbanizzazione, favorita dalla fame di terreni prossimi alla città e dalla “lottizzazione” praticata dai Carafa, che iniziarono a cedere porzioni di suolo in enfiteusi (una sorta di contratto di affitto che concedeva diritti molti simili alla proprietà).
I primi ad insediarsi furono soprattutto gli ordini religiosi, e poi subito dopo la nobiltà e la nascente classe borghese dei professionisti, che la scelsero per edificarvi i propri palazzi sia per la bellezza dei luoghi ma anche per i costi più bassi dei suoli rispetto a quelli all’interno delle mura cittadine.
Molti furono gli architetti che acquistarono suoli dai Carafa, sia per costruirvi la propria abitazione che a fini speculativi.
La Costigliola è percorsa sostanzialmente da due strade: via Salvatore Tommasi (già via san Potito) e via San Giuseppe dei nudi. Lungo queste due strade si affacciano numerose fabbriche civili e religiose.
La passeggiata alla Costigliola
Iniziamo il percorso da via Pessina risalendo la scala di San Potito costruita nel 1867 per meglio collegare la zona.
Questa sbuca a via Salvatore Tommasi in corrispondenza del complesso di San Potito la cui chiesa della metà del XVII secolo è opera di Piero de Marino, mentre il chiostro attualmente ospita la caserma dei Carabinieri “Salvo D’Acquisto“.
Continuando la salita incrociamo palazzo Minei realizzato nel 1732 da Gennaro dell’Aquila, e che presenta un bel portale dal gusto sanfeliciano.
Ai due lati del palazzo vi è vico Rose, caratteristico vicolo coperto in più parti, accessibile attraverso due supportici e che col suo andamento a ferro di cavallo avvolge totalmente il palazzo. Ad uno degli accessi una antica lapide ci informa che nel periodo pasquale alle donzelle vergini abitanti in quelle case veniva elargita una dote di 15 ducati per maritarsi.
Spingendosi più all’interno invece si scoprirà la sorpresa di una spettacolare veduta sul Cavone.
Questo vicolo inoltre fu immortalato nella famosa scena dello spazzino nel film “Così parlò Bellavista”.
Verso San Giuseppe dei vecchi
Percorrendo ancora la strada arriviamo al complesso di San Giuseppe dei vecchi il cui convento fu realizzato riadattando un palazzo appartenuto a Fabrizio Carafa. Oggi ospita uffici del Comune e nel cortile è ancora esistente un pozzo che attingeva l’acqua direttamente dall’acquedotto del Carmignano.
L’attigua enorme chiesa, dalla muta facciata, fu realizzata nel 1634 su progetto di Cosimo Fanzago e restaurata nel 1732 dal Tagliacozzi Canale, il portale invece è opera di Francesco Solimena altro grande artista che dimorava poco distante.
La chiesa oggi ospita anche un santuario della Madonna di Lourdes e gode di una forte devozione popolare anche per la presenza del sepolcro del Servo di Dio sac. Dolindo Ruotolo di cui è in corso il processo di canonizzazione.
Al culmine della strada possiamo ammirare il portale in piperno scolpito del palazzo Terralavoro, già dell’architetto Giovan Giacomo di Conforto che lo costruì per sua residenza nel 1610. L’aspetto attuale è opera di Luca Vecchione che vi operò nel 1734.
Qui è affissa anche una lapide marmorea del 1916 che ricorda la figura di Salvatore Tommasi a cui è intitolata la strada.
Ritorno alla città bassa
Dopo un altro sguardo al panorama del Cavone dalle omonime rampe, percorriamo per un breve tratto via Santa Monica che spunta su via Salvator Rosa la cosiddetta Infrascata, e ci avviamo verso via San Giuseppe dei nudi per fare ritorno verso la parte bassa della città.
Anche qui sono numerosi i palazzi degni di nota tra cui quello al civico 32 dal bel portale in piperno probabilmente opera ancora di Luca Vecchione.
Ma quello che sicuramente spicca su tutti è il Palazzo di Alessandro Costantino opera del Tagliacozzi Canale che nel 1739 riadattò una fabbrica preesistente, edificata a soli fini speculativi dall’architetto Paolo Papa, inserendovi un’ampia scala aperta ad ali di falco che rimanda alla mente gli omologhi esempi di palazzo Trabucco dello stesso autore e le scale di Ferdinando Sanfelice.
Proprio di fronte vi è la chiesa dei Santi Bernardo e Margherita edificata intorno al 1730 da Giovan Battista Nauclerio che oggi, appena restaurata ed intitolata a San Giovanni, è affidata all’Ordine dei Cavalieri di Malta.
Proseguendo la discesa arriviamo in uno slargo nei cui pressi nel 1734 alcuni amici, figli della nobiltà partenopea, decisero di associarsi per creare un’Opera assistenziale per i poveri e bisognosi dopo che a causa di un violento acquazzone, che fece saltare una scampagnata già programmata, decisero di donare ad un mendicante il denaro ad essa destinato. È grazie alla loro opera che nel 1750 sorse la chiesa di San Giuseppe dei Nudi su progetto di Giuseppe del Gaizo, la dove vi era già la piccola chiesa di santa Maria all’olivo dei Padri Agostiniani.
Fatti ancora pochi passi raggiungiamo la bella scala in basolato che chiudendo il circuito ci condurrà alla zona “Museo”.
Percorrendola avremo alla sinistra l’enorme mole del palazzo Cito di Melissano completato nel 1763 da Luca Vecchione. A destra invece si eleva il palazzo di Francesco Solimena (ne abbiamo parlato qui) realizzato per propria dimora dal grande artista napoletano nel 1710.
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