Didattica a distanza o didattica in presenza, questo è il problema!
Oggi riapriranno le scuole dopo le vacanze natalizie o, per meglio dire, riaprirà l’attività di didattica a distanza nell’attesa che si ritorni a quella in presenza. Ma siamo realmente pronti a tutto ciò, ma soprattutto, è il caso di riaprire le scuole agli studenti?
Premettiamo che, non solo siamo favorevoli alla didattica in presenza, ma la riteniamo fondamentale come è logico e giusto che sia, ma ci chiediamo pure: quali potrebbero essere i costi sociali, viste anche le esperienze pregresse degli altri paesi, se si riaprissero le scuole per le lezioni in presenza? Perché riaprirle per poi richiuderle? Perché permettere che il contagio dilaghi?
La salute è ovviamente la prima cosa, così come andante vuole, e siamo anche consci che tutto sia collegato, la cultura porta alla consapevolezza e alla conoscenza e di conseguenza anche, nei limiti del possibile, alla salute stessa, ma esistono dei “tempi tecnici” che andrebbero rigorosamente rispettati e non accorciati per i bisogni di una parte del paese che, anche se per necessità, scalpita per un rapido ritorno alla normalità.
L’attività didattica in presenza sarà invece scaglionata di regione in regione a seconda delle rispettive ordinanze e in generale seguendo l’evoluzione dell’epidemia ma in linea di massima dando priorità, come si è finora fatto, all’attività in presenza alla Scuola dell’Infanzia e a quella Primaria. Nello specifico campano, secondo l’ordinanza n°1 del 5 gennaio 2021 del Presidente della Regione, la Scuola dell’Infanzia riprenderà l’attività didattica in presenza l’11 gennaio, così come i primi due anni della Scuola Primaria, mentre i restanti tre anni della stessa rientreranno in aula il 18 gennaio. Il 25 gennaio è invece previsto il rientro per le Secondarie di primo e secondo grado e dal 7 gennaio riprenderà per tutti gli ordini e gradi l’attività di didattica a distanza.
Dopo questo necessario preambolo che conferma sostanzialmente la priorità data dalla Regione, così come dal Ministero, alla Scuola dell’infanzia e alla Scuola Primaria per la didattica in presenza, ci si chiede il perché, così come accade anche per quegli alunni con particolari bisogni educativi, accada questo. Perché i bambini devono andare a scuola e i ragazzi devono invece restare a casa?
Se l’obiezione che scaturisce è quella di una scarsa conoscenza dei mezzi informatici, questo non è del tutto vero poiché, almeno in Campania, anche le classi prime e seconde della Primaria e quelle della Scuola dell’Infanzia già facevano la DaD e solo in un secondo tempo sono ritornati in classe (dal 30/11 la Scuola dell’Infanzia e le prime della Primaria e dal 9/12 anche le seconde della Scuola Primaria). Del resto sappiamo bene che buona parte della fascia d’età che frequenta la primaria usa ormai attivamente, e anche troppo, i mezzi informatici, in particolar modo gli smartphone. Quindi perché si predilige la presenza per le fasce d’età più bassa? Lo si fa ufficialmente per il fatto stesso che, le tre parti in causa, ovvero Scuola dell’Infanzia, le prime due classi della Primaria e gli alunni diversamente abili, hanno bisogno di un’alfabetizzazione tale i cui obiettivi non possono che passare attraverso la didattica in presenza e di una manualità di base che non può essere attuata e monitorata da remoto.
Per quel che riguarda invece quei bambini e quei ragazzi che hanno bisogni educativi speciali o disabilità, per i quali vale il sacrosanto principio dell’inclusione, la situazione va però gestita tra famiglia, docente di sostegno ed eventualmente dallo specialista. In alcuni casi è stato evidenziato che per questi ragazzi, in particolar modo per quelli autistici, sia preferibile la presenza in aula. A questo punto però ci si chiede dove sia l’inclusione là dove questi alunni troveranno in molti casi le classi vuote, con la sola presenza dell’insegnante di sostegno e, nel migliore dei casi, con i compagni presenti solo sul monitor, vista anche l’ambivalenza di un’utenza che segue più gli umori del momento che la logica; infatti solo in rarissimi casi ci sono stati piccoli gruppi di studenti che a rotazione hanno fatto lezione e compagnia agli studenti in questione.
Non si mette quindi in discussione la valenza stessa della didattica in presenza ma, se esiste una causa di forza maggiore, l’emergenza dovrebbe valere per tutti, anche per chi in realtà non può essere lasciato da solo a casa perché i genitori lavorano e i nonni non ci sono o non possono esserci. Il nostro timore è che, pur non essendo possibile attuare una didattica in presenza per gli ovvi motivi legati alla diffusione del virus, si sia anche preferito agevolare quelle tante famiglie che non hanno a chi lasciare i propri figli per andare a lavoro. Ci rendiamo conto, da docenti, ma soprattutto da genitori, che anche il problema di queste famiglie sia reale e di non poco conto, ma si dimentica a questo punto il reale valore della salute, che non riguarda solo i bambini che pure potrebbero contagiarsi, ma anche tutti gli altri componenti di un gruppo familiare, passibili di un contagio che potrebbero portare anche questi alunni nelle proprie case o, viceversa, possano portarlo a scuola, benché questa resti ancora uno dei luoghi più sicuri.
Ma anche i provvedimenti come quelli della didattica mista ci lasciano molto perplessi poiché, dopo averla sperimentata ad inizio anno scolastico, la si ritiene molto più dispersiva rispetto a quella a distanza perché bisognerebbe suddividere le classi in due gruppi, uno in presenza e l’altro a distanza, e con tutte le complicanze del caso. Tutte le criticità della DaD salterebbero fuori anche in questo caso, ovvero mancata copertura della rete, dispositivi obsoleti (non solo da parte degli utenti ma anche da parte degli istituti scolastici), scarsa perizia nell’uso degli stessi e dei software in uso, etc.; il tutto trasportato in un contesto dove il docente deve però interloquire pure con gli studenti in presenza che necessitano una diversa attenzione. Viene quindi meno, non solo il controllo didattico, già di per sé difficile nella DaD, ma anche il dialogo e la trasmissione dei contenuti e quel legame empatico che si crea tra docente e discente nella classe in presenza. Ma lo stesso insegnante deve utilizzare almeno due registri comunicativi diversi, quello utile a comunicare con chi si ha di fronte e quello con chi invece sta dietro lo schermo e di certo non è cosa facile per una corretta e proficua comunicazione. Una via di mezzo complessa e assai limitativa, che necessita inoltre di una rotazione affinché non si penalizzino sempre gli stessi studenti, ma che, tutto sommato, limita fortemente ogni tipo di trasmissione di valori e contenuti, molto più della DaD dove, per lo meno, ci si trova tutti sullo stesso piano, professori inclusi, e i metodi educativi sono gli stessi, limitati ma univoci verso l’intera classe.
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