Il Vallone del Fico e l’elogio dell’impossibile
Un luogo da visitare ambivalente, di facile accesso da un lato e quasi impossibile dall’altro, in un modo o nell’altro ne varrà la pena, lo spettacolo della natura è assicurato.
Se qualcuno vi dicesse che una cosa è impossibile da realizzare, non ascoltatelo! E non fatelo solo perché nelle cose umane non devono esistere termini assoluti, ma anche perché, dietro quelle parole, c’è quasi sempre una sconfitta, una rinuncia o, ancor peggio, un pregiudizio; ma non è detto che debba per forza riguardare voi.
Detto ciò vi parlerò di quella che mi era stata indicata come un’impresa impossibile ovvero la risalita del Vallone del Fico. Del perché si chiami così non mi è dato saperlo e probabilmente il riferimento, così come per il vallone della Profìca Paliata, deve probabilmente risalire ai fichi selvatici, pure presenti in zona.
Ma perché percorrere il Vallone del Fico dovrebbe essere impossibile? Perché, oltre ad essere ripido (il suo dislivello è di circa 570 metri sviluppati lungo 2.700 metri lineari), il terreno dove ci muoveremo è composto di materiale piroclastico incoerente, ovvero il famoso sabbione vulcanico che ogni buon camminatore vesuviano conosce bene e sa che, così come è un vero e proprio divertimento in discesa, è un supplizio farlo in salita, poiché ad ogni passo che si fa, ne scivoli per almeno due all’indietro per l’inconsistenza del lapillo.
Per i meno audaci sarà altrettanto spettacolare farlo in discesa partendo dallo Slargo della Legalità, provenendo magari dai sentieri 1, 2, e 6 (quest’ultimo al momento interdetto) del parco. L’alternativa, consigliabile per coloro che amano soffrire e con una buona forma fisica, è quella invece di prenderla dal basso da via Campitelli Vecchia nel comune di Terzigno.
Come spesso accade, l’approccio al sentiero è frustrante perché si deve passare per luoghi malsani, sporchi o vere e proprie discariche, luoghi macchiati dalla presenza dell’uomo e quello della specie peggiore, il famigerato homo samens!
Man mano che si sale però il contesto cambia, qua e là si avvertono i segni ancora evidenti dell’incendio del giugno 2016 (precursore del disastro del 2017) ma la natura prende presto il sopravvento. Superato un primo dislivello dove i piedi poggeranno ancora sulla dura roccia vulcanica, incomincia presto il sabbione e, l’impegno e la costanza saranno messi a dura prova allorquando i fantasmi del ma-chi-te-lo-fa-fare incomberanno per dissuaderci dall’impresa.
Il consiglio, di chi l’ha fatto almeno tre volte in salita (il numero esiguo delle ascensioni è indicativo della difficoltà), è quello di arrivare almeno a metà del percorso prima di voltarsi e godere dello spettacolo del panorama che s’affaccia sulle pinete a valle, sull’Agro Nocerino-Sarnese e i Lattari; servirà di sicuro da incoraggiamento per portare a termine la piccola grande impresa di arrivare allo Slargo della Legalità. Altra caratteristica fondamentale del luogo è quella di essere chiuso da due alti crinali che ne fanno un luogo protetto dai rumori e dai venti contrastanti, e luogo ideale per l’avifauna, soprattutto per quella rapace che sfrutta le correnti calde ascensionali, cosa che però hanno capito anche i bracconieri che hanno nel tempo realizzato degli appostamenti con quel che resta delle “piramidi” usate per i rilievi satellitari dell’INGV ed oramai vandalizzate.
Questo percorso è sconsigliabile farlo in estate poiché è completamente esposto al sole, con pochissimi alberi o altri ripari, e ad ogni modo è utile portare calzature alte e pantaloni lunghi, per evitare che il lapillo entri nelle scarpe e faccia danni. Una volta giunti allo Slargo della Legalità la natura vesuviana si apre davanti a noi in tutta la sua magnificenza, e lo fa là dove l’uomo l’aveva offesa, costruendo una struttura abusiva per un turismo mordi-e-fuggi e che per fortuna oggi non c’è più, lo aveva fatto appropriandosi indebitamente di un patrimonio comune, oggi riconsegnato a tutti noi sotto l’egida del Gran Cono che vigila sullo sfondo. Qui si potrà fare una pausa nel silenzio o essere cullati dal fruscio del vento tra le fronde dei pini o delle ginestre; si potrà consumare qualcosa e poi ridiscendere per la stessa strada o anche continuare lungo uno dei sentieri che da lì si diramano.
La discesa sarà uno spasso perché, come in una discesa libera sulla neve, potrete scendere quasi scivolando sul lapillo, ma attenzione! Non esagerate, e rallentate, perché spesso la dura roccia si cela insidiosa sotto il sabbione e potreste farvi male o rovinosamente inciampare. In questo modo, se vorrete, raggiungerete rapidamente il punto di partenza, oppure vi godrete il degradare del panorama in tutta calma, prima di scontrarvi malamente contro la dura realtà che ci attende giù a valle.
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.