Monte Somma, le misteriose “baracche” del sentiero
Siamo partiti per indagare i misteriosi ruderi sul sentiero n°3 del PNV per poi scoprire un mondo che più di 100 anni fa già aveva una sua coscienza ambientale e che tutelò e migliorò le strutture idrauliche preesistenti a difesa di tutta la cittadinanza vesuviana.
Molti confondono queste famigerate baracche che danno il nome al sentiero, con quelle della Traversa a Somma Vesuviana o addirittura con quelle del Ciglio di Punta Nasone ma, già su una carta topografica del Touring Club Italiano datata 1929, queste strutture pollenesi figuravano a circa 2,3 chilometri dall’inizio del sentiero n°3 del Parco Nazionale del Vesuvio (l’Anello del Monte Somma e popolarmente conosciuto come il Sentiero delle Baracche) mentre, sia il sentiero, sia i fabbricati non risultano esistere ancora su mappe anteriori da noi prese in esame, quelle del 1876 e del 1900.
Queste baracche o quanto meno la loro struttura portante è però di pietra e non, come vorrebbe l’accezione contemporanea, in legno e metallo; ormai sono solo dei ruderi e la loro funzione rimane ancora oscura. Abbiamo però provato a dare delle risposte e abbiamo considerato, in un primo momento, plausibile un loro utilizzo militare, vista la loro posizione strategica ma non siamo riusciti a trovare elementi tali da avvalorare questa tesi; abbiamo quindi cercato un’altra spiegazione possibile per capire la destinazione d’uso che ebbero, ed adducibile ai lavori del Genio Civile all’indomani della terribile eruzione del 1906.
L’eruzione del 1906
L’eruzione dell’aprile 1906 fu disastrosa per tutto il Vesuviano, furono infatti registrati danni alle coltivazioni per circa 60 milioni di lire dell’epoca; 216 persone persero la vita ed altre 112 furono gravemente ferite; circa 34.000 furono invece i senzatetto. Secondo il Giornale del Genio Civile del 1912, redatto da Riccardo Simonetti: “L’eruzione dell’aprile 1906 fu caratterizzata da una grande quantità di ceneri e lapilli per oltre 60.000.000 m³ che, a seguito delle piogge primaverili, provocarono disastrose alluvioni con prevalenza del tipo a colata di fango”; ciò comportò, non solo gli ingenti danni sopra citati ma ovviamente la distruzione delle precedenti opere borboniche che non furono capaci di contenere l’immane massa di fango e detriti frutto dell’eruzione.
Tra le conseguenze dell’eruzione del 1906, ci furono inoltre le ricorrenti alluvioni di materiale vulcanico che si susseguirono negli anni successivi, e che furono particolarmente catastrofiche, e lo furono al punto tale che lo stesso sistema di regimazione dei Regi Lagni (da non confondere con i lagni borbonici vesuviani, successivi a queste opere vicereali) fu quasi sommerso dalle ceneri dell’eruzione. I danni furono ingenti e la situazione non lasciò indifferente lo stato, che accorse in aiuto delle popolazioni vesuviane. Il governo stanziò una prima somma di £. 300.000 per i soccorsi, ed istituì un Comitato Centrale per i danneggiati, presieduto dal Duca d’Aosta.
Tra le varie misure adottate fu previsto il ripristino forestale dei bacini montani della caldera del Monte Somma. Suddetto Comitato servì per studiare i tipi di interventi da eseguire, finalizzati a garantire la sicurezza dei cittadini dalle colate di fango. Vennero previste due tipologie di intervento, una diretta a trattenere a monte degli alvei il materiale eruttato dal Vesuvio, un’altra finalizzata invece a rendere gli alvei più capienti e resistenti nei confronti della massa di materiale vulcanico trasportata dalle acque. Gli interventi proseguirono negli anni successivi, specie sui versanti del Somma, dove l’esteso reticolo idrografico superficiale necessitò di un lungo lavoro di manutenzione.
Opere di ingegneria naturalistica ante litteram
Particolarmente interessanti tra le opere di sistemazione e manutenzione montana che si susseguirono tra 1° Luglio 1906 al 30 Giugno 1913, e per le quali furono stanziati un totale di 12.440.000 lire; spiccano quelle che potremmo considerare opere di ingegneria naturalistica ante litteram e che forniranno spunto ed ispirazione alle opere dell’Ente Parco negli anni 2000. Per intendere l’alta compatibilità ambientale di queste strutture e la lungimiranza di chi le ideò, potrà esserci utile la lettura di uno stralcio del decreto ministeriale del 20 agosto 1912 e recante le “Norme per la preparazione dei progetti dei lavori di sistemazione idraulico-forestale nei bacini montani”
“… sono da impiegare: materiali rustici dei siti, pietre, legnami richiedendo alla forza della vegetazione i materiali viventi pel consolidamento dei terreni, ricorrendo anche ad opere miste in legname e sasso. Nelle frane sono da evitare le costruzioni murali, adottando invece piccole palizzate, graticciate o fascinate basse, inerbimenti e semine e piantagioni di alberi di pronto accrescimento.”
Un’ipotesi plausibile, e una speranza
Ed è quindi all’interno di questo contesto che s’inserisce la probabile realizzazione delle nostre “baracche” e dello stesso stradello che congiungeva il versante occidentale del Somma-Vesuvio con quello settentrionale, inserito nel più ampio contesto di una “Via Traversa” che percorreva l’isoipsa media dei 600 m. sul livello del mare attorno al complesso vulcanico e che congiungeva, con le sue diramazione a valle, tutti i paesi del Vesuviano. È quindi molto probabile che quelle strutture fossero una sorta di casa cantoniera che la manodopera, in prevalenza locale, utilizzava come riparo o per custodire gli attrezzi durante i lavori di sistemazione e manutenzione.
A conferma di ciò abbiamo trovato un altro elemento, ovvero quello del rinvenimento di alcuni cocci di tegola sui quali abbiamo potuto interpretare il marchio di fabbrica delle Ceramiche Giovanni Ellena, attiva con questo nome fino al 1920 in Liguria e che confermerebbe, assieme alle carte storiche, la manifattura dei fabbricati agli inizi del ‘900.
Sarebbe bello pensare a un restauro di queste strutture di 115 anni fa, sarebbe bello immaginarle come rifugio o come info-point, dando loro una nuova vita così come la meriterebbe l’intera Strada delle Baracche che da tempo versa in condizioni pietose e pericolose per chi la percorre. Magari, si potrebbe fare come è accaduto per altre vestigia del passato, lasciando credere che anche le nostre “baracche” siano strutture borboniche, in modo da suscitare l’ennesimo sdegno “duosiciliano”, nella speranza che qualche politico si accodi ancora una volta e le dia una altra chance, a loro come a noi.
Fonti consultate:
“La Bonifica e la sistemazione idraulica dei torrenti di Somma e Vesuvio” – R. Simonetti – Roma 1912;
“Interventi di ingegneria naturalistica nel Parco Nazionale del Vesuvio” – AA.VV. – Quarto (NA) 2001
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