Il ruolo dell’ambientalista serio
Cosa deve fare un ambientalista serio, deve di certo interfacciarsi col territorio; ma come farlo? Di certo il lavoro di sentinella da solo non basta; questo è senz’altro utile, non solo per scovare le criticità locali ma anche per ricordare a cittadini e istituzioni distratte che i problemi esistono e che bisogna comprendere che le stesse istituzioni sono spesso, in un modo o nell’altro, impossibilitate nell’agire attivamente sul territorio. Purtroppo queste attuano di fatto una sorta di negazione della criticità, in certi casi per nascondere vere e proprie negligenze o per semplice, ma non meno grave, ignoranza; in altri casi ancora, il non voler vedere ciò che spesso è tangibile e sotto gli occhi di tutti, accade per la consapevolezza del fatto che la criticità è talmente grande da non poterla affrontare con le semplici forze di un amministratore locale.
Spesso questa cognizione si trasforma nella minimizzazione della problematica, deviando l’attenzione verso altro, verso la giusta enfasi delle eccellenze locali, che spesso non sono altro che fiere eccezioni, ma che da sole non possono coprire le criticità e da queste stesse di fatto penalizzate. A ciò si aggiungano gli specchietti per le allodole della videosorveglianza e dei droni o della presenza dell’esercito sul territorio. Questi rimedi o meglio, questi palliativi, risultano eclatanti e facilmente spendibili in termini di demagogia ma utili solo se messi in pratica in contesti potenzialmente virtuosi, ma praticamente inutili là dove è alta la presenza di attività economiche a nero o border line che sopravvivono anche grazie allo smaltimento illecito degli scarti di lavorazione. In un mercato del lavoro dove risulta vitale agire in questo modo, evitando di ricaricare sul prodotto finale il prezzo dello smaltimento legale dei rifiuti, e senza pertanto giustificare tale azione, ma attestandola come pratica diffusa nel Vesuviano, nel Napoletano e altrove nel nostro meridione, risulta ovvio che queste ditte, iscritte o meno all’anagrafe tributaria, non vadano di certo a gettare i propri rifiuti sotto le telecamere o davanti alla camionetta dell’esercito dell’operazione “Strade Sicure”. Non potendo tra l’altro riempire il territorio di videocamere, si deduce che, qualora queste realmente funzionassero (cosa non del tutto scontata), evidentemente non servirebbero all’uopo.
A ciò aggiungiamo che i droni non servono, là dove è risaputo che l’ubicazione delle microdiscariche, utilizzate dall’economia sommersa del territorio, corrisponde a luoghi da tutti conosciuti, amministrazioni comprese e sono tutte raggiungibili da strade carrabili e quindi non da sentieri di montagna percorsi da sherpa adibiti al trasporto di eternit, guaina d’asfalto e calcinacci vari. Per colpire dunque chi delinque in tal modo bisogna innanzitutto coglierlo in flagranza di reato, cosa non possibile con le eventuali riprese video; inoltre, per commutare in condanne penali i reati ascrivibili ai trasgressori, questi devono essere una ditta e non un semplice privato cittadino che otterrà invece solo una sanzione pecuniaria amministrativa; da ciò ne deduciamo che, in un regime di lavoro nero, quasi nessuno sarà rinviato a giudizio per il grave reato di scarico di rifiuti, più probabile invece per chi si macchierà del reato penale di appiccare il fuoco alla discarica.
Tutto ciò viene detto perché le risposte e le reazioni vanno ricercate altrove e possibilmente efficaci, e non solo frutto di una cognizione di fatto da parte dell’attivista, ma dal suo operato sul territorio, un operato informativo e collaborativo con i cittadini e le istituzioni tutte e che non sia solo una mera giornata ecologica o una passeggiata in montagna.
L’ambientalista si interfaccia con l’istituzione, fa capire che lui sta sul territorio e lo conosce ma soprattutto deve conoscere le leggi o rivolgersi a chi le sa e questo per non cadere in facili generalizzazioni e per avere un’azione più incisiva e non essere per questo attaccabili dal punto di vista dialettico se no addirittura legale. Certo, questa è una visione idilliaca, soprattutto a certe latitudini, ma l’alternativa sarebbe solo quell’edulcorato mondo dell’ambientalismo da salotto, volto più al globale che al locale; ciò ovviamente non vuol dire che quel che accade nel mondo non abbia importanza e influenzi negativamente le nostre sorti ma, per molti, ben consci delle intrinseche difficoltà riscontrabili attorno a loro, risulta molto più facile speculare sui massimi sistemi che dannarsi l’anima e il corpo con realtà invece più prossime e impegnative.
Un’altra importantissima attività di un operatore della tutela ambientale è quella dell’educazione ambientale: uno dei mantra più diffusi in materia di ambiente. Sia ben chiaro la scuola è un qualcosa di fondamentale e se chi vi parla ha una sensibilità in tal senso, è perché docenti illuminati lo hanno guidato verso la conoscenza di un mondo meraviglioso e la necessità di una sua difesa per conservarlo alle future generazioni. Da docente quindi sento molto la cosa ma non posso fare a meno di sottolineare che la scuola, per quanto fondamentale, è solo un ingranaggio della grande macchina della società civile, un contesto nel quale tutto è collegato e fortemente influenzato dall’andamento generale. Ciò vuol dire che, la scuola da sola non basta se il mondo attorno ad essa va in direzione contraria, il rischio, qualora il contesto sociale fosse poco collaborativo con le istituzioni scolastiche, è quello di un lavoro scolastico sterile e finalizzato solo lavare la coscienza di qualcuno o a riempire scarni curricula di altri. Se un giovane apprende qualcosa a scuola, e da decenni nella scuola si fa educazione ambientale, deve trovare all’esterno delle aule un contesto tangibile e coerente con quanto ha appreso, deve essere guidato dalle altre istituzioni in maniera concreta per essere il futuro custode del mondo.
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