Santa Maria del Plesco, l’Abbazia che divenne castello
Santa Maria del Plesco a Casamarciano nell’agro nolano è un’antica abazia diretta emanazione di quella di Montevergine sorta sul monte Partenio ad opera di San Guglielmo da Vercelli. Il Plesco è un complesso religioso quasi millenario che ha attraversato molteplici vicende storiche tra fasti e decadenza, e forse una futura rinascita. Ne ripercorriamo qui la storia con un ricco corredo fotografico.
L’insediamento religioso nacque nel 1136, solo pochi anni dopo la fondazione della casa madre sul monte Partenio, e la sua importanza fu tale che tra i conventi virginiani era quello che godeva anche di maggiore autonomia nelle decisioni politico economiche. Gli abati del Plesco infatti erano di solito i primi candidati ad assumere la medesima carica a Montevergine.
Alla chiesa, documentata con certezza dal 1158 e che intorno alla metà del XIV secolo assunse il titolo di S. Maria dell’Annunziata del Plesco (L’appellativo Plesco pare sia un riferimento al masso roccioso su cui fu eretta), si affiancava il convento organizzato su due livelli intorno a un chiostro quadrangolare, con biblioteca, archivio e dormitori. Qui dal 1657 al 1708 fu ospitato anche il noviziato di Montevergine per la formazione e lo studio dei giovani monaci.
I rifacimenti successivi
Nel XVI secolo la chiesa, conosciuta ormai come SS. Annunziata di Casamarciano, fu rifatta da Domenico Fontana, mentre due secoli dopo fu Domenico Antonio Vaccaro a riconfigurarla totalmente in forme Rococò.
Il De Dominici nelle sue “Vite…” così racconta l’intervento del Vaccaro: “…ha modernato la chiesa in bella forma, con farvi di pianta l’atrio, con capricciosa salita, arricchendola di marmi, stucchi, sculture, e pitture; …”
Da tali parole si evince che il famoso architetto, pittore e scultore, uno dei massimi esponenti del rococò napoletano, si occupò prima di dare una nuova veste alla facciata realizzando il pronao di ingresso a tre fornici che si apre su una scala a due rampanti curvi posta in cima a un piano inclinato lastricato in calcare bianco. Tale sistemazione è quella giunta fino ai giorni nostri.
Successivamente si dedicò alla realizzazione di diverse sculture, nelle cappelle laterali e per l’altare maggiore, e ben dieci dipinti su tela. Sempre il De Dominici ci racconta che “…essendovi sei cappelle di marmo, e in ognuna ha fatto il suo quadro, e nell’altare maggiore ha fatto la cona anche di marmo, con un quadro di palmi sedici e dodici in cui ha dipinto la SS. Nunziata, con una gran gloria, e con l’Eterno Padre al di sopra…”
Per arricchire la decorazione della volta poi “… fece tre quadri, essendo quel di mezzo di trentotto palmi, in cui apparisce S. Guglielmo portato in gloria dall’Umiltà, e dall’Orazione, e vien ricevuto dalla Beata Vergine sotto il suo manto, ove sono tutti li Santi fondatori delle Religioni, e negli altri due sono espressi i miracoli di detto Santo.”
Da abbazia a Castello
Con le soppressioni napoleoniche del 1807 il monastero, insieme a tutti i suoi possedimenti, fu venduto alla potente famiglia Mastrilli già proprietaria di numerosi beni storico monumentali nel territorio nolano.
Il marchese Marzio Mastrilli avviò una serie di opere di trasformazione che inizialmente prevedevano anche la demolizione della chiesa, poi scongiurata grazie al clero locale che si assicurò anche la gestione della stessa. A metà dell’ottocento nel monastero fu anche impiantata anche una scuola di arti e mestieri.
Gli interventi effettuati dal Mastrilli mutarono l’aspetto della storica badia in quello di un antico maniero con l’aggiunta di torri e merlature che diedero al primitivo cenobio monastico l’aspetto di un castello, da cui nacque anche l’appellativo di Rocca o Castello di Casamarciano che ancora oggi conserva nella denominazione locale.
Marzio Mastrilli nato nel 1753 proprio a poca distanza Casamarciano fu tra l’altro un valente diplomatico e per conto dell’Austria condusse le trattative e sottoscrisse il trattato di Campoformio con Napoleone col quale strinse addirittura un rapporto di amicizia. Fu più volte ministro e ambasciatore sotto i Borbone e poi ministro degli esteri nel decennio francese, sia sotto Giuseppe Bonaparte che Gioacchino Murat. Con la Restaurazione poi il suo prestigio e le sue capacità lo portarono ancora ad essere nominato segretario di Stato da Ferdinando di Borbone.
Proprio re Gioachino Murat ospite del Mastrilli soggiornò più volte al Plesco nell’occasione di battute di caccia nei ricchi boschi circostanti.
Nell’ultimo secolo
Dal 1925 l’intera struttura fu acquistata dalla famiglia Mercogliano che ristrutturò il fabbricato per adibirlo a propria residenza. Nel corso delle tristi vicende della seconda guerra mondiale il cav. Raffaele Mercogliano ospitò nel proprio “castello” alcune famiglie illustri napoletane sfollate dalla città ognuna con il proprio seguito di inservienti e camerieri.
Successivamente iniziò un triste e lento declino che vide l’abbazia abbandonata per lunghi periodi con la conseguente rovina delle strutture e sparizione di numerose opere d’arte sia dalla chiesa che dal castello, tra cui anche una preziosa vasca da bagno in marmo che era nella camera occupata da Gioacchino Murat durante la sua permanenza al Plesco.
Le storia ultima del complesso purtroppo è legata principalmente a complesse vicende ereditarie e giudiziarie che hanno più volte mutato la proprietà del bene che è anche passato nella disponibilità del Comune per destinarlo a sede del festival di teatro “Scenari Casamarciano”, per poi essere di nuovo restituito ai privati.
Nonostante la vicenda legale sia ancora in corso una parte della proprietà ha di recente avviato dei lavori di restauro degli esterni dell’intero complesso.
Ad oggi sembrano concluse le opere di rifacimento delle facciate dell’abbazia-castello, che hanno dato una nuova veste cromatica allo storico edificio, mentre i lavori alla facciata della chiesa sono ancora in corso.
Una visita agli interni
Tanta magnificenza e ricchezza sono oggi solo un ricordo lo testimonia soprattutto l’interno che è in uno stato pietoso: i marmi degli altari laterali sono quasi del tutto divelti e depredati, le lapidi spezzate, le poche opere d’arte che non sono state trafugate, come i quattro Evangelisti dipinti nel 1782 da Paolo de Majo e che erano collocati nell’abside, sono state trasportate al museo di Capodimonte.
Il grande organo a canne fu invece traferito nella cattedrale di Nola nel 1807 sempre in occasione delle soppressioni monastiche napoleoniche.La volta a botte che copre l’aula liturgica è completamente liscia e priva dell’apparato decorativo in stucco e delle tele del soffitto (asportate dalla soprintendenza) entrambe opere del Vaccaro, a causa di un restauro strutturale eseguito negli anni scorsi per porre rimedio ai danni causati dallo sfondamento del tetto che per anni ha esposto le strutture all’azione degli agenti atmosferici.
Dell’altare maggiore scolpito in un unico blocco di marmo non v’è più traccia, al contrario del pavimento marmoreo che è invece ancora al suo posto, protetto da un rivestimento in legno. La pregiata pala d’altare raffigurante l’Annunciazione, pure opera del Vaccaro, è stata invece trasferita al museo storico archeologico di Nola.
Del coro ligneo dell’abside realizzato in noce nel 1735 sopravvive solo lo scheletro, invece della cantoria sulla controfacciata, nemmeno quello. In sacrestia, tra alcuni graffiti di ormai un secolo fa, uno stemma affrescato ricorda l’antica appartenenza al monastero di Montevergine
La buona notizia è che di recente sei angeli in marmo opere del Vaccaro trafugati negli anni dell’abbandono sono stati finalmente recuperati dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale che li hanno individuati presso alcune botteghe di antiquariato romane. Oggi sono esposti al museo diocesano di Nola.
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