La responsabilità della condivisione
Diffondere un post ha le sue responsabilità, farlo non è un obbligo di legge, e quindi non andrebbe fatto con leggerezza. Bisogna farlo con la giusta consapevolezza delle conseguenze che potrebbero scaturirne.
Le reti sociali, è risaputo, sono un formidabile mezzo di comunicazione e di diffusione di idee ed opinioni ma, ormai da tempo, si sono trasformate in una tribuna da dove ognuno degli utenti del medium di turno si ritaglia il suo quarto d’ora di notorietà. Fin qui tutto bene, o meglio, rientriamo nei canoni della libera espressione democratica ma, mi chiedo, eticamente parlando, quali e quante sono le responsabilità di chi condivide, spesso in maniera superficiale e seriale, le sue opinioni e fin troppo spesso, in maniera non limpida, quelle degli altri?
Non mi soffermo più di tanto su chi, talvolta palesemente, plagia i post altrui, facendo il copia-incolla e senza citare fonte alcuna, perché esiste una normativa che regolerebbe questo settore, ma anche quando la fonte è menzionata, dovrebbe esistere, a mio modesto parere, una responsabilità nel diffondere ai quattro venti un post, un messaggio o un articolo.
Molti, facendo in tal modo, hanno infatti creato o incrementato il loro successo politico o, quanto meno, hanno rafforzato la propria immagine con un’aura di saggezza o competenza, diffondendo contenuti audio, video e testi altrui o comunque dalla dubbia provenienza o veridicità e questo, quando non costituisce reato, è almeno eticamente discutibile e basato fondamentalmente sull’altrui ignoranza e fiducia. Purtroppo l’utenza, favoreggiata dagli algoritmi, oltre ad essere complice, è di fatto quello che è, e i social volano via più rapidi del pensiero, lasciando solo a chi, con sano scetticismo e buona memoria o un buon archivio dati, la possibilità di distinguere chi è da chi crede o vuol far credere di essere. Ma, anche quando esiste la buona fede, deve esistere almeno la prudenza, non è necessario infatti diffondere un post o un messaggio ad ogni costo, e soprattutto, la sua veridicità andrebbe controllata perché, anche in questo caso, condividendo il contenuto, si condivide anche la responsabilità.
Credo sia importante a questo punto fare anche un distinguo tra i mezzi in questione, ovvero, a quale social media facciamo riferimento. Infatti, se su facebook, al netto della scopiazzatura e alla foto di George e Lorraine McFly che gira ancora in questi giorni, la paternità dovrebbe essere palese all’atto della stessa condivisione, e richiederebbe un processo relativamente più lento di diffusione dei contenuti. Su whatsapp invece la situazione è un po’ più complessa poiché la rapidità di condivisione è di gran lunga più micidiale. Basti ricordare su tutti il caso della povera Tiziana Cantone, frutto dell’insulsa superficialità di chi l’attorniava e della pruriginosa curiosità di mezza Italia e le tragiche conseguenze che ne conseguirono; o il caso della richiesta di sangue per una bambina, da parte di Elisa Montagnoli, con tanto di numero personale che, di tanto in tanto, c’è chi, ancora oggi, diffonde e che, per quanto legato ad un’effettiva urgenza medica, fa riferimento ad eventi avvenuti almeno una decina di anni fa e che costrinsero la generosa signora a cambiare numero telefonico per le continue chiamate che riceveva, anche dopo la morte della bambina vedi, e questo solo per l’eccessiva e leggera solerzia di chi, con un semplice click, pensava di fare la sua parte civica nel mondo assai contorto dei social.
Una cosa simile accade anche a me nel luglio del 2017, allorquando, durante il disastroso incendio che distrusse gran parte della superficie boschiva del Parco Nazionale del Vesuvio, avendo riunito un gruppo di volontari per dar man forte agli spaesati operatori della Protezione Civile, qualcuno pensò di creare un gruppo whatsapp per riunirci ed essere più operativi, scrivendo un messaggio, e lasciando il mio recapito telefonico per mettersi in contatto. Inutile dirvi che anche in quello sparuto gruppo ci fu chi ritenne opportuno condividere quel messaggio e: apriti cielo! Fui costretto a non utilizzare il mio telefonino per almeno una settimana per le tante telefonate di volontari e perditempo che mi tempestarono di chiamate. Non vi dico poi, whatsapp, messenger e tutto il resto perché, a parte la buona volontà dei tanti che volevano dare realmente una mano, la smania spicciola di chi pensava di fare la sua parte con la semplice condivisione, fece sì che sui miei contatti arrivasse di tutto, dalla richiesta di informazioni, alle quali, come semplice volontario, spesso non sapevo o non potevo rispondere, ma anche alle ingiurie per non aver ricevuto risposta, al solito complottismo, alle volgarità, e alle inspiegabili amenità, come per esempio chi, per chissà quale strana ragione, mi cantava una canzone neomelodica. Anche sui giornali nazionali arrivò, manco fosse stato un comunicato ufficiale di qualche ente statale, quel messaggio, col rango dell’ufficialità.
Per fortuna, nel bene come nel male, finito l’incendio, finì la smania partecipativa di chi voleva sentirsi parte di un qualcosa, condividendo acriticamente quel testo, ed io per fortuna conservo ancora quel numero di cellulare ma, il mio timore è quello che, così come il sub pescato dal canadair e i “gatti kamikaze”, qualcuno ripescherà, nei meandri della Rete, quella ristretta richiesta d’aiuto e la reimmetterà all’occasione in circolo ed io mi ritroverò, mio malgrado, nuovamente nell’occhio del ciclone.
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