Un parco di fumo ed ombre
Una breve analisi degli incendi del luglio 2017 e quanto non è stato fatto ad oggi per scongiurarne il ripetersi.
Il Parco Nazionale del Vesuvio ha ufficialmente 11 sentieri, almeno 3 stradelli di connessione e molti sentieri storici che raccordano i centri abitati pedemontani ai sentieri ufficiali o raggiungono quelle aree che una volta erano fondamentali per chi viveva di campagna o di bosco.
Nel 1995 nasce l’area protetta, ma gli oltre 55 km di sentieristica ufficiale conoscono il loro periodo di massimo splendore tra il 2001 e il 2006 con la loro creazione in concomitanza con le opere di ingegneria naturalistica ad opera di Gino Menegazzi, sotto le presidenze Fraissinet e Troiano.
Va comunque detto che, dalla loro creazione ad oggi, le opere di ingegneria naturalistica e la sentieristica tutta, hanno vissuto un progressivo e naturale deterioramento perdendo col tempo la loro funzionalità per incuria e a causa del naturale agire degli elementi ma soprattutto a causa dell’assenza di opere di manutenzione ordinaria. Dal 2006 ad oggi non sono poi mancati gli incendi che hanno colpito a macchia di leopardo molte zone del parco, spesso danneggiando seriamente quel che rimaneva delle opere di contenimento dei versanti del Vesuvio e quelle di captazione delle acque pluviali che dal Vulcano scendono a valle, agendo in complementarità con le antiche e talvolta ancor funzionali opere borboniche e vicereali.
L’ultimo incendio, quello del luglio 2017 è stato il più vasto e distruttivo dal 1944 ad oggi, dall’ultima eruzione ad oggi, ma con la differenza che l’eruzione è un evento naturale mentre gli incendi vesuviani hanno spesso avuto natura dolosa ma soprattutto colposa vista la forte antropizzazione del territorio e cagionati anche da un complesso e controverso quadro di suddivisione di responsabilità istituzionali e civili che hanno gravemente tardato gli interventi di antincendio attivo ma soprattutto hanno vanificato ogni opera di carattere preventivo in quel contesto.
In effetti l’incendio del luglio 2017 aveva avuto già i suoi prodromi nell’incendio del luglio 2016 allorquando bruciò gran parte del versante meridionale delle pinete del parco nazionale (circa 16 ettari). Ma non solo, già a fine marzo, ad un mese di distanza dall’ultima neve, si apriva sul Somma la stagione degli incendi boschivi vesuviani e senza per questo mettere in allarme le autorità competenti.
È, ad ogni modo opportuno, per meglio analizzare la questione vesuviana, attuare una netta distinzione per quanto riguarda gli incendi boschivi, che hanno avuto origine nelle prossimità della riserva integrale e quelli che hanno invece avuto una genesi più chiaramente antropica presso le discariche storiche del Vesuviano o nelle zone di scarico estemporaneo sempre incluse in area parco e concentrate soprattutto nella sua fascia pedemontana. Allo stato attuale delle nostre conoscenze e pur se in presenza di concomitanza tra i due eventi, l’uno non ha alimentato l’altro e sono rimasti sostanzialmente separati, nello spazio e nelle cause. Risulta comunque evidente che anche gli incendi boschivi, in quelle zone limitrofe alle carrozzabili, hanno portato alla luce vecchi depositi di materiale di risulta edilizio e rifiuto vario, altrimenti coperto dalla folta vegetazione spontanea.
L’incendio boschivo dell’estate del 2017 ha raggiunto nell’arco di pochi giorni il Monte Somma superando quindi i 1000 metri d’altitudine, sospinto dal forte vento ed alimentato dal tanto “carburante” lasciato in maniera improvvida da chi avrebbe invece dovuto provvedere al suo esbosco. Per carburante ovviamente non intendiamo i combustibili fossili, né tanto meno i fantomatici inneschi tanto paventati ma mai visti e mai mostrati, ma le centinaia di cataste di legna tagliata e il frascame abbandonati lungo i sentieri e ovviamente un ricco e arido sottobosco mai ripulito, tanto meno della sua parte più macroscopica.
Da sopralluoghi fatti nell’autunno 2017, sui sentieri n°3, “Piana Tonda”, n°1, n°2 e n°4, è stato riscontrato e documentato che i lavori messi in opera dalla Città Metropolitana e dalla SMA Campania e ufficialmente terminati nel maggio 2017, oltre a riguardare solo un tratto parziale di suddetti sentieri, come del resto previsto dal progetto definitivo esecutivo, non risultavano però corrispondere in buona parte al computo metrico del progetto. Resta inoltre da capire chi abbia lavorato lungo quei tratti non previsti dal progetto e che comunque, per approssimazione e pericolosità, non differivano nella sostanza da quelli incaricati alle regolari maestranze.
Sarebbe auspicabile quindi, approfondire le probabili responsabilità di natura colposa che, ad ampio raggio, hanno, a nostro parere, alimentato un disastro senza pari, là dove non sono adottate per negligenza o disattenzione, misure di contrasto, prevenzione e repressione degli incendi nel Parco Nazionale del Vesuvio e adducendo il disastro a fantomatici attacchi criminali mai avvenuti e soprattutto mai dimostrati. Tutto ciò anche alla luce del poco fatto ad un anno e più di distanza da tali eventi, delle ridotte opere di contenimento dei versanti colpiti dal fuoco e soggetti a dissesto idrogeologico, fatta eccezione dell’attuazione di saltuarie opere di manutenzione ordinaria davanti alla necessità di azioni straordinarie ma soprattutto realistiche su di un territorio lasciato ormai a se stesso e alla “monocoltura” del Gran Cono.
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