Vesuvio, chi vivrà, vedrà!
Dopo l’ennesima presentazione del “Grande Progetto Vesuvio”, cosa sta realmente accadendo nel Parco Nazionale che dovrebbe proteggerlo e quali sono le reali competenze di chi lo amministra? Proviamo a dare qualche risposta.
Spesso il presidente del Parco Nazionale del Vesuvio ha asserito di non poter agire per quel che concerne il tema dei rifiuti e in generale di non poter mettere mano là dove esiste una proprietà privata e che per quest’azione sono deputati esclusivamente i comuni.
La cosa è vera ma non del tutto e lo chiariamo meglio. All’articolo 11 comma 3 della Legge 394 del 1991 ovvero la Legge Quadro sulle aree protette si dichiara esplicitamente quanto segue: « […] nei parchi sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat. In particolare sono vietati: […] l’apertura e l’esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonché l’asportazione di minerali »
Il concetto viene rafforzato all’articolo 6 della stessa legge che al comma 3 indica: « Sono vietati fuori dei centri edificati […] e, per gravi motivi di salvaguardia ambientale, con provvedimento motivato, anche nei centri edificati, l’esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti, qualsiasi mutamento dell’utilizzazione dei terreni con destinazione diversa da quella agricola e quant’altro possa incidere sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici e sulle finalità istitutive dell’area protetta.» Il comma 6 invece entra più nello specifico delle competenze e delle responsabilità dichiarando quanto segue: « L’inosservanza delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 comporta la riduzione in pristino dei luoghi e la eventuale ricostituzione delle specie vegetali ed animali danneggiate a spese dell’inadempiente. Sono solidalmente responsabili per le spese il committente, il titolare dell’impresa e il direttore dei lavori in caso di costruzione e trasformazione di opere. Accertata l’inosservanza, il Ministro dell’ambiente o l’autorità di gestione ingiunge al trasgressore l’ordine di riduzione in pristino e, ove questi non provveda entro il termine assegnato, che non può essere inferiore a trenta giorni, dispone l’esecuzione in danno degli inadempienti […] ovvero avvalendosi del Corpo forestale dello Stato o del nucleo operativo ecologico […] »
Da ciò se ne deduce che il Parco può e deve intervenire, se non direttamente (e come farlo senza uomini e mezzi, e forse volontà?!), almeno attivandosi nel mettere in moto tutte quelle parti in causa che compongono il talvolta intricato contesto delle competenze. Nel caso specifico i comuni, per quel che concerne la questione dei rifiuti; ma anche l’autorità di bacino (che tra l’altro dovrebbe redigere nuove mappe per il rischio idrogeologico vista la mutata situazione vesuviana del post incendio), i consorzi di bonifica ed il genio civile per affrontare il dissesto idrogeologico in particolar modo per quello paventato dopo i disastrosi incendi del 2016 e del 2017. In verità l’ente parco ha stipulato, prima e dopo gli incendi, protocolli e convenzioni con la Città Metropolitana e con la partecipata regionale SMA Campania ma evidentemente senza sortire effetto alcuno poiché, a nostro avviso, il tutto è stato fatto in maniera poco articolata, poco incisiva, approssimativa e con tempistiche bibliche.
Il parco ha inoltre stipulato protocollo di intesa e convenzione anche con l’università Federico II, e il suo dipartimento di Agraria ma gli studi non sono ancora terminati ed esiste il forte rischio che in questo caso, così come per altri, passi troppo tempo tra la conclusione dello studio e i lavori effettivi di bonifica del territorio e di tutte le azioni necessarie, e questo considerando anche il fatto che, dopo un incendio, esiste una tempistica ben precisa per operare sul territorio attaccato dalle fiamme, per evitare che questo divenga una landa desolata ed attaccabile nuovamente dagli incendi.
La convenzione stipulata invece con l’altra partecipata SOGESID, dopo più di nove mesi, è stata prorogata di altri due; questa contemplava il « supporto tecnico–specialistico per la realizzazione di interventi urgenti, finalizzati alla prevenzione dei rischi, la difesa del suolo, la manutenzione delle infrastrutture verdi, nonché la fruizione turistica in sicurezza del territorio del Parco Nazionale del Vesuvio». Al momento però la montagna ha partorito solo il topolino del Grande Progetto Vesuvio, focalizzando l’interesse e i lavori solo su tre brevi sentieri, avulsi dalle grandi criticità di dissesto e bonifica presenti purtroppo, e in maniera ben più pericolosa, in altri contesti del Parco.
Un’altra convenzione è stata inoltre stipulata con i Vigili del Fuoco per due presidi in area parco ma purtroppo senza fonti sufficienti d’acqua a loro disposizione. Non parliamo poi del sistema di videosorveglianza che, dalla solenne presentazione di luglio, stenta ancora ad essere operativa. Anche i Carabinieri Forestali si sono impegnati nel lavorare nell’area di loro competenza ovvero nella riserva integrale del Tirone Alto Vesuvio operando lungo la Strada Matrone, consolidando i margini del sentiero n°4 e arginando alla meno peggio, ovvero con gli stessi alberi bruciati reperibili sul posto, gli impluvi presso via Cifelli, dove si trova la loro caserma e senza agire lì, come ovunque nel parco, dove c’era maggiore urgenza di intervenire ovvero sui versanti bruciati e con l’abbattimento di tutte le piante morte; cosa che non è ancora stata ancora fatta e che comporterà, non solo un svalutazione della legna, che avrà un prezzo di mercato sempre più basso quanto più a lungo rimarrà in situ a marcire ma sarà principalmente un rischio per chi percorrerà quei sentieri e un solido impedimento per la piantumazione di nuove essenze a consolidamento dei versanti.
Prevedibilmente il presidente del parco ha cantato vittoria per il non esserci stati incendi di rilievo la scorsa estate e questo, secondo lui, grazie a queste azioni coordinate e non ad un’estate climaticamente opposta a quella del 2017. A questo punto, ammessa e non concessa suddetta eventualità, vien da chiederci perché tutto ciò non sia stato messo in atto nell’anno intercorso tra gli incendi del luglio 2016 e quelli del luglio 2017 magari evitando un disastro forse irreparabile.
Ad ogni modo va detto che il parco interviene nelle sorti del territorio che amministra ma lo fa in maniera indiretta, selettiva e non controllata. Il parco infatti interviene per quel che concerne l’abusivismo edilizio e per tutto quel che riguarda l’organizzazione della sentieristica e il tutto attraversando proprio quelle proprietà private che invece pare siano intangibili quando si trattano altri argomenti ben più complessi e non sempre popolari come quello dei rifiuti.
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