La soddisfazione di vedere un po’ d’ordine e normalità là dove non c’è mai stato, uno schiaffo morale ai detrattori di un popolo certamente non perfetto ma disciplinato quando vuole.
Ieri ho trascorso, come del resto anche negli ultimi tre anni, la Pasquetta a Torre del Greco ma, né ieri, né nelle precedenti occasioni, l’ho fatto come gitante, ma come attivista, vigilando e, all’occasione, mettendo limite alle nefandezze di chi ama fraintendere il sacrosanto concetto di libertà individuale. Quest’anno però la situazione è stata davvero diversa se non addirittura surreale.
Per chi non sapesse in cosa consista a sud del Garigliano la gita fuori porta di Pasquetta, quella del 25 aprile o quella del Primo Maggio, è bene che sappia cosa accade. Parliamo infatti di prati, pinete, boschi, radure, fiumi, ruscelli e laghetti ridotti a immondezzaio. La mia esperienza diretta è quella delle pinete vesuviane, in particolar modo quelle tra Torre del Greco e Trecase, là dove ho potuto toccare con mano fin dove potesse scendere in basso il genere umano.
La cosa che però fa più male è che i maggiori artefici delle devastazioni delle pinete sono spesso i ragazzi, i giovani, quelli che forse hanno appreso dai loro genitori quest’arte tutta nostrana di essere perfetti cittadini all’interno delle proprie mura domestiche ma di considerare terreno di conquista e di saccheggio tutto ciò che è invece pubblico. E ciò è valso fino ad oggi, nonostante un evidente dato di fatto, normale ad ogni altra latitudine ma anomalo qui da noi, ovvero che sporcare un luogo naturale è sbagliato ed è controproducente allo stesso tempo, e che, in quelle pinete, prima o poi, ci dovranno ritornare, l’anno successivo o quelli a venire.
Invece no, cumuli di rifiuti, spesso cibo intatto, e ancora incellofanato, carne cruda e mai arrostita, casatielli integri, pezzi di formaggio interi, bottiglie di vino mai aperte e così via, fino alle fornacelle, comprate nuove per l’occasione e lasciate lì dopo averle usate. Solo dei superalcolici troverai le bottiglie vuote, ovviamente disseminate sul prato. A poco e niente sono serviti gli appelli delle autorità e di chi come noi delle associazioni hanno fatto opera di sensibilizzazione, fornendo informazioni e buste per i rifiuti.
Quest’anno però, complice il coronavirus, la Pasquetta delle pinete è stata praticamente disertata, queste erano vuote, nessuno; fatta esclusione di qualche locale a passeggio con il cane o chi, con la pur inquinante motoretta, gironzolava nelle aree carrabili, nessuno è andato a fare il pic-nic sotto i pini vesuviani. Insomma, la Pasquetta che avresti sempre voluto, quella dove puoi passeggiare senza trovare una carta per terra, quella della tranquillità, quella dove la Natura riprende il suo corso e soprattutto là dove le persone hanno deciso, chi per timore, chi per buonsenso, di restare a casa. Una Pasquetta dove la presenza delle forze dell’ordine era finalmente tangibile per evitare scempio e contagio. C’era bisogno di un virus per ottenere tutto questo?
Quella di ieri è stata la dimostrazione che le cose possono cambiare, da una parte, così come dall’altra; ci dimostra che le persone possono essere disciplinate anche qui da noi e che le autorità competenti possono finalente fare il loro dovere. Poi è chiaro, c’è ancora molto da fare, manca la cultura del rispetto e c’è ancora chi è abituato a fare i suoi porci comodi, per poi lamentarsene delle conseguenze, addossando le colpe sempre a qualcun altro; in tal caso il cammino è ancora lungo. In altri paesi si rispetta un numero minimo di persone per accedere alle aree protette, altrove basta la civiltà, ma da noi esiste un malinteso concetto di libertà che necessita ancora elementi di deterrenza per essere correttamente applicata.
Ma il mio pensiero va anche alla politica, agli amministratori locali, agli enti e a quelle forze dell’ordine che ne dipendono; perché mai questa situazione di normalità la dobbiamo riscontrare solo in un contesto di rara eccezionalità? Perché i controlli massicci non vengono attuati tutte le Pasquette e non solo ora che l’epidemia incombe? Perché ci si è sempre schierati, come ad esempio per quel che riguarda il problema delle micro-discariche, dietro telecamere, droni ed esercito, quando è bastato semplicemente mettere le auto delle polizie nei giusti punti e lasciare il controllo delle aree più impervie agli esperti attivisti delle associazioni?
Quella di ieri è la “prova provata” che quando esiste la volontà di fare una cosa, questa cosa si fa; un popolo, notoriamente considerato immune ad ogni forma d’ordine e organizzazione, ha dato invece dimostrazione di grande disciplina e, là dove c’è stato bisogno, perché non siamo perfetti, è intervenuta a mo’ di deterrenza la forza pubblica ma va bene così, verrà il tempo in cui la civiltà si sostituirà ad ogni forma di dissuasione o repressione; ma soprattutto bisognerà capire il perché tutto ciò non accada nella normalità, facendoci permanere in uno stato di perenne e ambigua emergenza.
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