La villa romana perduta di San Sebastiano al Vesuvio
Non solo le più famose Pompei ed Ercolano, con Stabia e Oplonti. Le pendici del Vesuvio nell’epoca romana erano disseminate di insediamenti più o meno grandi, e soprattutto da numerose ville rustiche dedite alla produzione agricola.
Scopriamo insieme queste testimonianze archeologiche, attraverso un itinerario virtuale che oggi ci porta a San Sebastiano al Vesuvio.
La villa romana perduta
“…È la più importante villa romana finora rinvenuta sul versante nord-occidentale del Vesuvio”, così scriveva l’archeologa Giuseppina Cerulli Irelli nel resoconto degli scavi da lei eseguiti tra maggio e giugno del 1964, e concludeva “…l’esplorazione totale della villa di S. Sebastiano al Vesuvio, [sarebbe] di vitale importanza per la conoscenza della vita della zona vesuviana nel periodo posteriore alla grande catastrofe.”
Ovviamente col termine catastrofe la studiosa si riferiva alla famosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che oltre alle zone più conosciute sconvolse anche questo versante vesuviano, e purtroppo contrariamente all’auspicio formulato, gli scavi della villa non furono mai portati a conclusione. Anzi si può dire che mai furono iniziati in maniera sistematica.
Dal seminario al liceo
Della villa oggi non resta alcuna traccia perché al termine delle indagini essa fu rinterrata, e coperta definitivamente dall’edificio che oggi ospita il polo liceale Salvatore di Giacomo, già liceo Scientifico. Ma andiamo con ordine.
Nel 1964 San Sebastiano al Vesuvio era in piena ricostruzione dopo i danni provocati dall’Eruzione del 1944, ed accanto al recupero di ciò che restava, il paese andava ampliandosi. Videro la luce nuove e larghe strade, nuove case, nuove attrezzature collettive e sociali, scuole, piazze. In questo fervore costruttivo, complici anche l’amenità dei luoghi e l’aria salubre, l’Ordine dei Chierici della Madre di Dio avviò su un terreno di proprietà la costruzione di un nuovo seminario religioso.
La scoperta e gli scavi
Fu proprio durante le operazioni di scavo per le fondamenta dell’edificio che il 29 aprile gli operai si imbatterono in quelli che sembravano essere resti di antiche murature. Fu prontamente avvisata la Soprintendenza alle Antichità della Campania che inviò sul campo l’archeologa Cerulli Irelli al fine di studiare ciò che stava venendo alla luce ed organizzare una preliminare campagna di scavi.
Questi furono condotti a spese dell’Ordine e con gli operai della ditta che stava eseguendo i lavori, sotto la direzione della Cerulli Irelli la quale nel 1965 pubblicò negli “Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Notizie degli scavi di antichità”, una descrizione delle operazioni di scavo e i reperti rinvenuti.
Ed è solo grazie a tale resoconto che oggi possiamo farci un’idea di ciò che fu rinvenuto all’epoca.
Ma com’era questa villa romana perduta?
Durante gli scavi, man mano che proseguivano le opere di sbancamento per il cantiere del Seminario, furono indagati vari ambienti posti a quote differenti con murature realizzate in diverse tecniche costruttive, ed alcuni di questi utilizzavano le mura di altri come fondazione. Le varie stratigrafie e i reperti venuti alla luce, risultarono spesso in contraddizione tra loro, e probabilmente anche a causa delle limitate indagini condotte la struttura della villa apparve poco chiara, ed anomala rispetto ad altre ville romane, così “come la successione dei vari elementi sia estremamente confusa; è venuto alla luce soltanto un frammento del monumento che, pur nella sua piccolezza, rivela già una storia complessa, le cui fasi si intuiscono numerose ma non si possono ancora chiaramente leggere”.
La villa probabilmente era costituita da due insediamenti, risalenti uno a prima, e un altro a dopo l’eruzione del 79, a causa della quale la villa fu coperta da circa tre metri di fango e detriti. Ben presto però, o perché i danni non furono irreparabili o per la posizione privilegiata della villa, che si trovava lungo la strada che univa Napoli a Nola, i luoghi furono ripopolati e costruite nuove strutture dove non fu possibile recuperare le precedenti.
Nel corso degli scavi furono rinvenuti elementi propriamente legati alla produzione agricola, ma anche muri affrescati in maniera abbastanza raffinata e di buona qualità, oltre ad ambienti pavimentati a mosaico. Non è stato però possibile chiarire se si trattasse di una villa rustica vera e propria con ambienti residenziali e altri produttivi, oppure se si era in presenza di un riutilizzo a scopo produttivo di un precedente impianto esclusivamente residenziale.
I reperti ritrovati
Al termine degli scavi i reperti principali risultarono essere un capitello in tufo di tipo ionico a quattro facce con tracce di stucco, un sesterzio di Vespasiano del 71 d.C., due lucerne in terracotta di cui una decorata con due teste di cigno stilizzate.
Di notevole interesse anche i resti di un torcularium, ossia un torchio per il vino del tipo a doppio albero, un trapetum (macina per le olive) costituito da un mortarium (mortaio) del diametro di circa 1,3 m ed alto 45cm, con due orbes (ruote) del diametro di 75 cm per uno spessore di circa 20.
Numerosi risultarono poi i frammenti di intonaco dipinto in vari colori e stili, oltre ad alcune pareti ancora in situ con “intonaco dipinto……., di tecnica piuttosto fine … a fondo nero con una sottile linea bianca orizzontale che delimita uno zoccolo sul quale si levano le basi di sottili candelabri a forma di steli, dipinti in bianco”.
Nella cella vinaria furono scoperti sette dolia (grossi vasi in terracotta che venivano interrati per conservare le derrate) del diametro massimo fino a 160 cm. Tre erano integri e dotati ancora di coperchi rotondi muniti di lingue di presa, oltre ad altri frammenti sparsi di dolia e coperchi, e due di questi riportavano bolli di fabbrica già noti per altri dolia di Pompei.
Nei pressi fu rivenuto anche un tratto ci canale fognario realizzato con tegole mammate.
Infine, poco distante dall’ultimo muro indagato, fu scoperta anche una sepoltura coi resti di uno scheletro ben conservato appartenente ad un individuo di notevole statura per l’epoca, pari a circa m. 1,90, senza alcun oggetto a corredo. Questa si trovava nello strato di fango successivo all’eruzione del 79. Si doveva quindi trattare di uno degli abitanti che riutilizzò il luogo dopo tale catastrofe.
Cosa ci resta
Con l’esclusione del trapetum, che fino a pochi anni fa risultava rimontato all’interno di un giardino privato, ed alcuni reperti che furono affidati al Comune di San Sebastiano e mai degnamente esposti, di tutto ciò oggi non è più visibile alcunché, e considerato che la villa può dirsi perduta per sempre, sarebbe auspicabile provare almeno a rintracciare tutti i reperti, sia conservati localmente, sia nei depositi della soprintendenza (dove si presume siano collocati) e recuperarli al fine di valorizzarli con l’allestimento di un piccolo museo locale, magari proprio all’interno del Liceo che, per mutate esigenze in corso d’opera, prese il posto del Seminario.
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