San Gennaro e gli altri santi dimenticati della Masseria Valente
I ruderi di un’antica masseria si stagliano ai margini di una strada frequentatissima. Nessuno ormai fa più caso ad essi eppure all’interno riservano molte sorprese, come un tesoro custodito in uno scrigno dall’aspetto modesto.
Eppure questo complesso di “casa palazzata” appartenuta alla famiglia Valente è stato molto più che l’ammasso di muri in blocchi di tufo consumati dalle intemperie, edere e arbusti che ci appare oggi. Ad un occhio attento non sfuggiranno le ultime tracce della vita che in esso vi si svolgeva.
Conosciuta localmente come Masseria o “‘o palazzo ‘e Valente” era in realtà molto di più. Un piccolo nucleo abitativo e produttivo con forno, osteria, macello e una cappella pubblica sotto il titolo di San Michele Arcangelo.
Oggi l’immobile rientra nel territorio di Pollena Trocchia e nei confini della parrocchia di San Giacomo, in passato invece la cappella era parte della parrocchia dell’Assunta di Massa di Somma, mentre l’edificio, trovandosi in zona di confine, era conteso tra i due comuni per l’applicazione di alcune tasse e gabelle.
La cappella di San Michele Arcangelo
La cappella era certamente l’elemento più pregevole di tutto il complesso, e quella di cui si hanno più notizie storiche. Aveva un bel portale di piperno che si apriva sulla pubblica strada, gli interni decorati a stucco e un altare di marmo con la statua del “Glorioso S. Michele di marmo bianco con li vestimenti dorati”, purtroppo trafugata intorno alla metà dello scorso secolo.
A costruirla agli inizi del XVIII secolo fu l’allora proprietario degli immobili Nicola di Vivo. Sappiamo che fu benedetta nel 1703 ed era lunga circa 28 palmi e larga 16, quindi considerando che il palmo napoletano era pari a circa 26,4 cm questa misurava circa m 7,40 x 4,22. Alla morte del De Vivo l’intero complesso passò per successione ereditaria alla famiglia Valente che nel 1737 la ristrutturò allungandola di circa 2,6 m.
L’ampliamento si rese necessario poiché la cappella divenne meta di un sostenuto afflusso di fedeli, anche grazie all’indulgenza plenaria concessa da Papa Clemente XI a tutti coloro che vi si fossero recati in pellegrinaggio nella festività dell’Arcangelo.
La porta della discordia
La cappella fu oggetto anche di una lunga diatriba con la curia napoletana, poiché in quanto pubblica non era concesso avere un accesso privato direttamente dal palazzo. I Valente si giustificarono sostenendo che era pericoloso la sera uscire dal palazzo “trovandosi quasi un miglio dall’abitato, et in mezzo ad una strada pubblica, restava soggetta ad essere rubata dai ladri [..] le sacre suppellettili, candelieri, e lampade d’ottone”, inoltre la porticina privata era stata sempre esistente e non aveva impedito la concessione dell’indulgenza. Nonostante ciò fu necessario murare l’accesso privato affinché la cappella tornasse a beneficiare dell’indulgenza. I Valente però dopo poco tornarono sui propri passi e riaprirono l’accesso privato nel timore di perdere i diritti acquisti in precedenza. Ma l’interdizione alla cappella comminata dalla Curia fece si che “i Proprietari per mostrarsi obbidienti [..] hanno di nuovo fatto murare la suddetta porticella”, inviando però una nuova supplica al Cardinale sostenendo che la perdita dell’accesso privato avrebbe messo a repentaglio anche “l’onestà delle loro quattro figliole nubili”, costrette ad uscire sulla pubblica via per partecipare alle funzioni religiose.
Nel 1743 la cappella vide la presenza del Cardinale Giuseppe Spinelli in visita pastorale alle comunità locali, il quale soggiornò anche nell’edificio, ospite della famiglia Valente.
Oggi di tutto questo resta il portale e pochi pezzi di stucchi all’interno, che è interamente crollato ed invaso dalle vegetazione.
La casa palaziata
Come detto il complesso era molto più ampio, e probabilmente nacque insieme alla cappella forse ampliando un precedente nucleo seicentesco. Era organizzato intorno ad un doppio cortile ed era almeno a due piani, ospitava numerose persone ed attività oltre ad essere anche residenza signorile dei proprietari.
Sulla corte si aprivano diversi ambienti di servizio, scuderie e cucine. Oggi è quasi del tutto avvolto da una vegetazione folta e robusta e risulta irraggiungibile il secondo piano del quale si scorge una bella loggia ad archi. Il pavimento della corte è tutto ricoperto di terra e il piano di calpestio appare molto più alto che in origine. In un ambiente che si apre direttamente sulla corte c’è un forno la cui bocca oggi tocca quasi terra, ciò probabilmente non è conseguenza dell’abbandono ma ne è forse la causa, infatti queste zone in passato erano spesso soggette a piogge alluvionali e fu probabilmente l’alluvione successiva all’eruzione del 1794 a dare il colpo di grazia e decretarne il lento abbandono.
Infatti nella Santa Visita del 1784 i Valente risultano ancora i proprietari mentre già nel 1819 la cappella “era tenuta in potere del colono Giuseppe Simiolo”, da ciò si può dedurre già uno stato di abbandono del complesso.
La scala affrescata
In un angolo della corte in prossimità della cappella, si scopre un secondo elemento che merita attenzione. È la scala che conduceva ai piani superiori della quale oggi resta solo il primo rampante, un pianerottolo e poco altro.
A prima vista si nota poco ma alla luce della torcia ecco la sorpresa: pareti interamente dipinte con prevalenza di scene sacre, cosa che ha indotto qualcuno a ipotizzare che in passato sia stato anche un piccolo convento. I dipinti parietali oggi sono poco riconoscibili, mentre in condizioni migliori sono quelli sulle volte, decorate con scene di genere e paesaggi di fantasia.
Sotto una miriade di graffiti delle epoche più svariate si scorgono alcune figure di santi e frammenti di scene che fanno pensare alla Creazione o forse la Cacciata dal Paradiso terrestre, al Battesimo di Cristo e altrove, più chiaro, appare San Gennaro che protegge dalla furia del Vesuvio.
Le opere sembrano essere di almeno due, forse tre mani ed anche epoche diverse.
Probabilmente un artista si occupò di dipingere le volte del pianerottolo e gli elementi architettonici. Un altro l’intradosso della volta del primo rampante e un terzo certamente dalla mano più felice le scene presenti sulle pareti del pianerottolo.
La storia nei graffiti
Sono molte le persone che hanno visitato questo luogo fin dal secolo scorso lasciando traccia del loro passaggio incisa sulle pareti. Da quello che si legge nelle “storie” scritte dagli occasionali visitatori l’edificio fu esplorato spesso da militari, giovani avventurosi e coppie in cerca di intimità. Tristemente però c’è da notare che i moderni graffitari hanno scelto come vittima le pareti dipinte, mentre i graffiti più antichi sono presenti quasi esclusivamente su alcuni muri realizzati per rinforzare la scala ed impedirne il crollo, probabilmente in seguito ai danni dell’ennesima alluvione. Infatti come si legge in uno dei graffiti l’edificio appariva già “dirupato” ad un visitatore nel 1926.
Probabilmente ai danni apportati dagli eventi naturali si aggiunse la demolizione di parte dell’edificio per modificare l’alveo del lagno Molaro che ora scorre proprio accanto alla cappella e realizzato successivamente all’eruzione del 1906.
Da alcune foto aeree del 1943 si nota chiaramente lo stato di rudere dell’edificio e la mancanza totale delle coperture. Nonostante ciò fino alla seconda metà dello scorso secolo l’edificio continuò a svolgere almeno una funzione agricola nei locali al piano terra.
Da molti anni è ormai definitivamente abbandonato per il rischio di crolli, cosa che probabilmente avverrà tra non molto e di tutto ciò non resterà alcunché. Le ultime testimonianze del passato scompariranno in un cumulo blocchi di tufo, non ne avremo più memoria e sarà un peso in meno per chi forse avrebbe il dovere di preoccuparsi dei cosiddetti “beni culturali” sparsi nelle nostre terre.
Riferimenti bibliografici:
Silvano C., La comunità di Pollena Trocchia dal 1760 al 1819 note di storia sociale e religiosa, S. Giorgio a Cremano,1998.
Marciano F. Casale A. Cordella F., Massa di Somma cenni di storia civile e religiosa, Massa di Somma 1998.
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