Abbazia del Goleto, tra ruderi e rinascita
Nel 1133 un frate eremita proveniente da Vercelli si stabilì in Irpinia dove fondò una abbazia caratterizzata dall’avere due monasteri distinti per sesso dove però il potere decisionale e direttivo spettava unicamente alle donne. L’eremita divenne poi San Guglielmo e quella che fondò era l’abbazia del Santissimo Salvatore al Goleto, oggi nel comune di Sant’Angelo dei Lombardi in provincia di Avellino. Scopriamola insieme in questa passeggiata virtuale ricca di fotografie.
La nascita dell’abazia
Fu nei pressi delle sorgenti dell’Ofanto, luogo percorso fin dall’antichità quale crocevia di collegamento tra il Tirreno e l’Adriatico, che nel 1133 sorse ad opera del frate eremita Guglielmo da Vercelli (che aveva già fondato il monastero di Montevergine sul vicino monte Partenio) il complesso religioso dell’abbazia del Santissimo Salvatore al Goleto caratterizzato dalla presenza di due monasteri: maschile e femminile, dove però per volontà dello stesso Guglielmo l’autorità suprema era unica ed era rappresentata dalla Badessa. Ai monaci era affidato il servizio liturgico e la cura materiale del complesso.
Guglielmo si era fermato in Irpinia durante il suo pellegrinaggio verso la Terra Santa dove però non arrivò mai. Visse come eremita per oltre un anno nella valle di Conza nei dintorni di Monticchio suscitando l’ammirazione del castellano Ruggiero che gli fece dono di un territorio chiamato Gullito sul quale fu poi fondato il complesso monastico. Guglielmo visse tutto il resto della sua vita al Goleto dove morì il 25 giugno 1142 e fu sepolto nella primitiva chiesa abbaziale. Nel 1942 papa Pio XII lo proclamò patrono principale dell’Irpinia.
La cittadella monastica aveva il suo fulcro nella chiesa del SS Salvatore, attorno alla quale c’erano i due monasteri e gli altri spazi di servizio, ai quali si aggiunsero via via nuove costruzioni per volere soprattutto della prima abbadessa Febronia, alla quale successero poi Marina I e II, Agnese e Scolastica.
Sui resti di una villa romana
Man mano che cresceva d’importanza l’abbazia veniva ampliata o dotata di nuovi corpi di fabbrica come la Torre Febronia che prende il nome proprio dalla badessa che la fece costruire nel 1152.
Nata originariamente come campanile fu utilizzata anche come torre di avvistamento a difesa del monastero e ultimo rifugio in caso di pericolo. La torre a base quadrata di circa 8 m di lato alta 16 m, fu realizzata riutilizzando blocchi di marmo di cui molti decorati con bassorilievi, prelevati dall’antico mausoleo funerario romano di MARCUS PACCIUS MARCELLUS della tribù Galeria, centurione della Legio Scitica, il quale probabilmente aveva una villa proprio nel luogo dove fu fondata l’abazia.
Molti altri elementi presenti al Goleto fanno supporre l’esistenza di un precedente insediamento romano ed è recente la notizia che saranno avviati a breve degli scavi archeologici per indagare meglio quest’aspetto.
Gli anni d’oro
Alla badessa Marina II si deve invece la realizzazione della chiesa di San Luca terminata nel 1255 e realizzata per ospitare le reliquie dell’omonimo santo.
Alla chiesa si accede dopo aver percorso la cosiddetta scala santa caratterizzata da un corrimano a forma di serpente che morde una mela.
Secondo Emile Bertaux (1879-1917) autore di L’art dans l’Italie mèridionale, vi lavorarono probabilmente le stesse maestranze impegnate nella costruzione di Castel del monte la cui costruzione era iniziata nel 1240 per l’imperatore Federico II, che come abbiamo visto nel precedente itinerario è legato anche alla realizzazione del Castello del Matinale.
Sempre a Marina II, tra il 1230-55, si deve l’ampliamento della cinta muraria che inglobò i cosiddetti casali, abitazioni per il personale laico che provvedeva all’agricoltura, alla raccolta del legname, alla pastorizia e all’allevamento del bestiame.
Fin dal 1191 l’abbazia godeva di un altissimo privilegio che consentiva alle abbadesse di esercitare un potere quasi vescovile, e del quale doveva rendere conto solo direttamente al Papa. Il complesso, che ospitava le figlie della migliore nobiltà napoletana, prosperò e si arricchì di terre e opere d’arte per circa due secoli.
Il declino
Purtroppo dal 1348, anno della peste nera, iniziò una lenta ed inesorabile decadenza che nel 1506 determinò papa Giulio II a decidere la soppressione del monastero femminile, cosa che però di fatto avvenne solo nel 1515 con la morte dell’ultima badessa, Maria.
Da questo momento in poi il monastero fu unito a quello di Montevergine che provvide ad inviare alcuni monaci i quali contribuirono ad iniziare una lenta ripresa interrotta bruscamente da due gravi terremoti nel 1694 e 1732. Quest’Ultimo fu l’occasione per riammodernare tutto il complesso con la costruzione di una nuova chiesa, sempre intitolata al SS. Salvatore e che doveva ospitare anche il nuovo monumento funebre per san Guglielmo.
Una nuova grande chiesa
Il progetto della nuova chiesa fu affidato al genio del rococò napoletano Domenico Antonio Vaccaro che vi lavorò tra il 1735 e il 1745, completandola con una grande cupola.
Della chiesa purtroppo oggi ci restano solo gli affascinanti ruderi a cielo aperto, dai quali però è ancora possibile cogliere lo spazio a croce greca e intuire la ricchezza degli stucchi.
Causa di ciò fu l’abbandono che si ebbe in seguito alle soppressioni napoleoniche del 1807 che colpirono anche questo complesso. In seguito alla soppressione il corpo di San Guglielmo fu traslato a Montevergine e le suppellettili del Goleto furono distribuite tra le chiese dei paesi vicini. L’abbazia venne abbandonata e cadde in rovin. Fu presto preda di vandali, depredata di quasi tutti gli elementi architettonici riutilizzabili e di molte opere d’arte ancora presenti. Senza alcuna cura i tetti crollarono, così come la cupola della nuova chiesa. I rovi e gli animali selvatici si impadronirono di tutto il complesso che divenne perfino rifugio di malviventi. Solo i cosiddetti casali continuarono a funzionare perché ospitavano contadini e stalle.
Una nuova rinascita
Questo stato durò fino al 1973 quando Padre Lucio Maria De Marino, monaco di Montevergine, si trasferì nei ruderi del Goleto per iniziare un’opera di ricostruzione che paradossalmente ebbe un impulso maggiore dopo il terremoto del 1980, che purtroppo però diede il colpo di grazia alle coperture della chiesa del Vaccaro. I lavori di restauro sono durati a fasi alterne fino al 2008.
Dal 1990 la cura dell’abbazia del Goleto e delle attività spirituali è affidata ai Piccoli Fratelli della Comunità Jesus Caritas, ispirata all’opera di Charles De Foucauld.
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