Ad alto volume
Il mondo finirà solo quando non ci sarà più la musica
Elogio della radio e della musica in auto, unico vero rimedio contro il logorio della vita moderna.
Amo ascoltare la musica e mi piace ancora di più ascoltarla in auto. Lo faccio sin da ragazzo, quando di nascosto mi chiudevo nell’auto di mio padre; era una 131 Mirafiori familiare, di un grigio metallizzato che era una favola e dove accendevo il suo Autovox con mangianastri stereo sette e viaggiavo con la mia fantasia di adolescente. L’abitacolo si trasformava in una cabina insonorizzata come quella delle radio private che spopolavano negli anni settanta e ottanta e dove, di lì a qualche anno, avrei io stesso trasmesso la mia musica preferita.
All’epoca non avevo né un impianto stereo, né un walkman, ma un’usurata radio mangianastri della Philips per cui il mio massimo dell’alta fedeltà era proprio quello dell’impianto stereofonico dell’auto di mio padre, dove ascoltavo le mie musicassette, originali o registrate per radio con il mio apparecchio mono, magari durante la notte, mentre ascoltavo RAI Stereonotte e immaginavo il mondo che si apriva al suono di Viaggiando di Roberto Colombo.
La cosa bella era però ascoltarla in viaggio la radio o, quando mio padre che mal digeriva il rock me lo permetteva, le mie musicassette; era come enfatizzare la musica con il panorama che ti scorreva tutt’attorno, in pratica un grande videoclip; era il panorama italiano da Napoli in su e talvolta da Napoli in giù, ma erano anche le voci della radio ufficiale, quelle di mamma RAI, quelle che ti aprivano a un mondo, meno ruspante delle radio private, ma ti aprivano comunque al mondo, quello che non conoscevo ancora.
Un doppio momento quindi, uno esterno, in viaggio e uno più intimo condiviso talvolta furtivamente con i miei fratelli o con qualche amico, ad ascoltare cassette, talvolta prestate da altri amici e cugini e dove: Pink Floyd, Dire Straits, Genesis, Eurythmics, U2, Mike Oldfield e Bruce Springsteen erano i miei preferiti; ma non poteva mancare neanche Eduardo Bennato con quelli che, dal 1973 al 1983, considero ancora gli album rock più belli della musica italiana; poi c’erano gli immancabili Battisti, Dalla, De Gregori, Ivan Graziani e Rino Gaetano che completavano il romanzo di formazione della mia gioventù.
Poi presi la patente, eh sì, il vero grande passaggio generazionale è quello, più della sigaretta e del primo bacio. La libertà! Effimera, sì, ma trattasi pur sempre di libertà, quella che sentivo mentre scorrazzavo per la città con il Mirafiori di papà e con lo stereo acceso; e che vuoi più dalla vita di un diciottenne di provincia degli anni ottanta? Da allora, più dell’aria condizionata, più degli alzacristalli elettrici, più di ogni altra cosa, nell’auto doveva esserci l’impianto stereo! E come dimenticare i tanti modelli che ho avuto e che talvolta pure mi hanno rubato: Sharp, Kenwood, Philips, un Trevi! Cassette, CD, CDMP3, ed oggi, con la mia SD card mi ascolto tutto il repertorio vecchio e nuovo della colonna sonora della mia vita.
Oggi viaggio ancora e non solo per diletto, brevemente mi sposto per lavoro, e grazie alla radio esorcizzo le assurdità del traffico partenopeo, magari al ritmo incalzante di Badlands del Boss, per non pensare a quanto dovrò spendere dal meccanico per riparare il risultato dello stato bellico delle nostre strade. Spesso però mi faccio dei lunghi viaggi, dove condivido anche con la famiglia le emozioni che la musica sa dare, oramai ascolto anche la musica dei miei figli, talvolta molto interessante e gradevole e condivido per un po’ il loro mondo e loro con me il grande videoclip della vita che scorre sotto i nostri occhi.
E via dunque con il rap, trap e hip hop o come comunque vogliate chiamarlo: Madame; Mahmood; Speranza; Luché e soci; meno musica? Troppa campionatura forse? Di sicuro tanta poesia, e le parole che pure contano, oltre al ritmo e alla melodia.
Parafrasando il Maestro: “Sulle strade della vita. Quanno vaco a ffà ‘na gita” nel cruscotto mio ci sei sempre tu, o radio, amica mia. Lungo le strade di Gandía con Nino D’Angelo a palla, come chi negli ’80 vendeva le cassette pirata di “Mixed by Erry” o nel porto di Barcellona con Tony Tammaro, giusto per farci riconoscere e, soprattutto, per non dimenticare da dove veniamo. Ma le soddisfazioni più grandi me le prendo ancora quando, inforcati gli occhiali da sole, ascolto Beethoven ad alto volume e con i finestrini aperti, incurante di chi mi guarda stranito, quasi come stessi facendo qualcosa di osceno. E vabbè! Una volta si ascoltavano gli Squallor e oggi mi va la settima sinfonia, che ce vulite fa?!
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