Alimenti a km zero: ecosostenibili, economici, equilibrati

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pomodorini

L’espressione “prodotti alimentari a km zero”, mutuata dall’anglosassone “food miles”, definisce quella categoria di alimenti per la quale si accorcia o elimina la distanza tra agricoltore e consumatore, con riduzione della produzione di anidride carbonica (CO2) e del costo finale. Tra la campagna e la nostra tavola, gli alimenti subiscono, infatti, numerosissimi passaggi di lavorazione (raccolta, lavaggio, pulitura, primo stoccaggio), confezionamento (spesso dispendioso, a seconda della destinazione finale) e infine, accesso alla Gdo (Grande distribuzione organizzata) che opera attraverso numerosi altri intermediari fino allo scaffale del supermercato. Ciò detto non deve stupire se si stima che, prima di giungere al consumatore, un pasto medio percorre 1.900 km!
È forse per la percezione di quest’assurdo, che una parte d’italiani più attenti ha speso nel 2009, secondo Coldiretti, più di 3 miliardi di euro nell’acquisto di alimenti a km zero (anche detti, in contrasto con i numerosi passaggi appena descritti, prodotti a filiera corta). Non deve quindi stupire che secondo un rapporto dell’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) relativo alla filiera lunga, solo 20 centesimi ogni euro di spesa alimentare vanno effettivamente all’azienda agricola.
Vi sono varie ragioni per preferire i prodotti a filiera corta, tra cui quelle di natura:
1. ambientale: la riduzione del CO2 prodotta grazie all’abbattimento dei trasporti (prevalentemente su gomma), il risparmio in acqua ed energia dei processi di lavaggio e confezionamento e l’eliminazione degli imballaggi di plastica e cartone rendono questi prodotti realmente ecosostenibili;
2. nutrizionale: sono prodotti di stagione e del territorio e stante il breve trasporto e stoccaggio mantengono intatte tutte le caratteristiche organolettiche e i principi nutritivi (per esempio, le vitamine);
3. di sicurezza alimentare: nella filiera lunga sono molti i prodotti che vengono importati da paesi lontani con normative meno rigorose di quelle italiane in termini di controlli igienico-sanitari con conseguente maggiore rischio per la salute.
4. economica: l’eliminazione delle intermediazioni e dei trasporti abbatte il costo al consumatore in misura del 30%;
5. di controllo sul prodotto: grazie al rapporto diretto con il produttore agricolo è possibile attuare un acquisto più consapevole e trasparente.
Questa dei km zero è una scelta ambientalista, morigerata e salutista alla scoperta della tipicità e del territorio e si pone in grande contrasto con la tendenza globalizzante degli ultimi lustri e la logica di mercato sostenuta delle grandi industrie. Non a caso la stessa volontà di ridurre le emissioni di gas a effetto serra a livello mondiale, sancita dal Protocollo di Kyoto nel 1997 (ratificato dall’Italia ormai nel 2002) di cui il “progetto km zero” fa parte, trova grandi difficoltà attuative un po’ in tutti i Paesi del mondo, non ultimo l’Italia. Come sempre accade però, anche le scelte del singolo possono, gradualmente e molto pazientemente, spostare certe tendenze. Iniziamo quindi con acquisti più accorti, scegliamo prodotti di stagione, magari facendo riferimento a realtà di vendita diretta o ai molti prodotti locali che possiamo reperire facilmente, oggi, anche nella stessa grande distribuzione.
Da uno studio condotto da Coldiretti se ogni famiglia scegliesse prodotti locali e di stagione, con una reale cura per imballaggi e sprechi, non emetterebbe fino a 1000 chili di CO2 in un anno.
Oltre a un risparmio di circa 100€ mensili, a fronte dei costi altissimi dei prodotti d’importazione.
In un momento di crisi economica, come quello attuale, la scelta del chilometro zero raccoglie sempre più consensi diventando concorrenziale.
La positività del chilometro zero sposa totalmente la cultura dello Slow Food, ovvero una vera e propria associazione eco-gastronomica operativa dal 1989 che contrasta l’alimentazione fast e priva di identità. I prodotti di filiera corta rappresentano anche la tradizione locale di ogni luogo, quindi conseguentemente la cultura di un popolo, di un paese e la sua storia. Questa ricerca delle origini delle proprie radici, di semplicità e identità ha favorito nel tempo la scelta del chilometro zero. Un’alimentazione sicuramente incentrata sulla possibilità di assaporare e gustare con i giusti tempo, per riconoscere profumi e cibi ormai parte del nostro Dna.

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