Bufala di ricotta – La pastiera deve avere davvero sette strisce e sette ingredienti?

Ovvero tutto quello che dovreste sapere prima di passare da virologi a storici della città e della gastronomia di Napoli.

la Pastiera e il tracciato ippodameo
La pastiera e il tracciato viario di Neapolis

Prima che una bufala diventi una leggenda metropolitana, e prima che questa divenga una verità assoluta, è bene mettere un po’ di chiarezza là dove spesso e volentieri ci si fa prendere la mano dalla facile condivisione di un post. Torniamo quindi sulla storia della pastiera già trattata in un nostro precedente articolo (vedi qui).

Negli ultimi giorni ha ripreso a circolare con vigore a colpi di articoli copia-incolla, e post condivisi abbastanza acriticamente, una presunta notizia che ha fatto capolino nella rete da pochissimi anni.
Tale notizia pretenderebbe di spiegare che la vera pastiera napoletana avrebbe sette strisce di pasta frolla: tre strisce principali ed altre quattro incrociate ad angolo retto, per un totale di sette e che rappresenterebbero la struttura viaria della Neapolis greco-romana.
Ad arricchire questa “perla di napoletanità” si aggiunge un’ulteriore chicca secondo la quale questo delizioso dolce pasquale fosse nato come alimento della sirena Parthenope, e che il numero sette ricorrerebbe anche negli ingredienti, ossia farina, ricotta, grano, uova, spezie, acqua millefiori e zucchero. Altrove qualcuno si ricorda di aggiungere anche il cedro (portando così gli ingredienti a otto).

Ma è davvero così?

Ebbene, non volendo entrare nel campo del mito, per quanto fantasioso possa essere, ci teniamo invece a chiarire alcuni fattori storici, ma oseremmo dire plateali, che sfatano questa leggenda nata da non si sa quale prolifica e fantasiosa mente.
Innanzitutto la vera tradizione è quella che giunge fino all’attualità di un popolo, senza alcuna forzatura o colpi di mano in nome di un retaggio aulico probabilmente mai esistito.

Inoltre, probabilmente chi ha la fantasia di mettere in giro certe fandonie non ha mai fatto una pastiera in vita sua, non ha mai maneggiato una pasta frolla, né mai avuto cura di adagiare al meglio e con grazia le strisce sul morbido ripieno delle pastiere. Chiedete a qualsiasi anziano pasticciere di questa “novità” e vi risponderà che non ha mai visto una pastiera confezionata in siffatto modo, e né mai ne ha sentito parlare dai suoi antichi maestri, e già così si arriverebbe facilmente ad almeno un secolo e mezzo di memoria viva. Questa sì, la vera tradizione.

Quindi non si capisce da dove salterebbe fuori questa nuova “vera tradizione e che, come puntualmente accade in ogni bufala che si rispetti, non presenta alcuna documentazione a supporto, ma anzi la pretende da chi invece fa notare le palesi incongruenze di certe idee.

Le strisce rappresentano davvero la pianta dell’antica Neapolis?

Il centro antico di Napoli, corrisponde in buona parte alla Neapolis greco-romana. Ebbene, caso più unico che raro, la sua struttura viaria odierna corrisponde ancora quasi in toto a quella originaria greca e spesso, tra palazzi nobiliari ed esercizi commerciali, non è difficile scorgere le antiche vestigia di quella colonia fondata dai Cumani 2.490 anni fa. La struttura urbana di Neapolis fu impostata sull’organizzazione di una serie di strade principali (plateiai o decumani) parallele tra di loro e orientate all’incirca sull’asse Est-Ovest, incrociate da altre ad esse perpendicolari (i cosiddetti stenopoi, o cardini).

Ebbene, mentre i decumani sono in numero di tre, i cardini individuabili sono all’incirca una ventina (e non quattro come qualcuno ripete per avvalorare le sua tesi). Si viene così a formare una scacchiera a maglie allungate composta dalle tre strade principali e dai cardini ad esse incrociati. Nulla a che vedere quindi con il presunto incrocio di sette strade né tanto meno niente a che vedere con la pastiera.

Napoli greco romana
Napoli Greco Romana, pianta di B. Capasso del 1904, elaborazione dell’autore. In blu i decumani, in arancio i cardini.

 

Ma la pastiera aveva davvero le strisce? e allora come devono essere?

Se non vogliamo dare credito all’usanza tramandata fino a noi da stuoli di massaie ed eserciti di “dolcieri”, ossia da coloro che di pastiere nella vita ne hanno viste e fatte tante, possiamo provare a chiedere a qualche autore antico di trattati di arte culinaria, che si è preso la briga di pubblicare nelle proprie opere la ricetta della pastiera.

Antonio Latini cuoco di origini marchigiane ma che lavorò anche a Napoli, nel suo Lo scalco alla moderna…” Pubblicato a Napoli nel 1694 per la pastiera di grano “alla napolitana”, oltre a riportare ingredienti (di cui parleremo) che a noi sembrerebbero strani, la descriveva addirittura con una sfoglia di pasta intera al di sopra.

ricetta pastiera
La ricetta di Antonio Latini, 1694

 

Ippolito Cavalcanti, invece, nella sua opera ”Cucina teorico pratica…“ pubblicata a Napoli in più edizioni, ci parla espressamente delle strisce. Infatti nell’edizione del 1837 riporta “…..ncopp’ a essa po nce farraje na cancellata de tanta laganelle de chella stessa pasta…

ricetta pastiera
La ricetta di Ippolito Cavalcanti nell’edizione del 1837

e in quella del 1839 “…..facennoce ncoppa na gratiglia de pasta purzì…”.

ricetta pastiera
La ricetta di Ippolito Cavalcanti nell’edizione del 1839

 

Come vediamo non si fa menzione ad alcun tracciato stradale, ma l’esempio di riferimento è la grata, che a Napoli era diffusissima soprattutto col disegno romboidale dato dall’incrociarsi delle barre di ferro.

Grate che erano presenti ovunque nei conventi, dove in pratica, probabilmente tra il XVI e XVII secolo, nacque la pastiera “moderna” come la conosciamo noi. Lì dove stuoli di suore si dedicavano, soprattutto nelle ricorrenze festive, alla preparazione di dolci da vendere, o da distribuire alla popolazione.
Ogni convento aveva la propria specialità e pare che la pastiera più rinomata fosse quella che usciva dalle cucine di San Gregorio armeno.
Allora, se proprio vogliamo trovare un modello alle “strisce” della pastiera, non forse è più corretto cercarlo in un ambito più familiare a chi all’epoca aveva praticamente il monopolio della produzione dolciaria di Napoli?
Potrebbero quindi essere state proprio le “grate” che separavano la clausura dalla mondanità a dare ispirazione per la disposizione delle strisce di pasta frolla.
Strisce che, ricordiamolo, hanno prettamente una funzione pratica nell’impedire che durante la cottura il ripieno si gonfi troppo a causa dell’evaporazione dell’acqua in esso presente, la cui traspirazione è parzialmente impedita dalla cristallizzazione degli zuccheri dello strato superiore.

Grata
Una grata, o inferriata. Ricorda molto la finitura delle pastiere

E gli ingredienti? Erano davvero sette?
Certamente in antichità esistevano delle preparazioni rituali fatte con grano, ricotta e spezie, ma se queste abbiano dato poi origine alla nostra pastiera è arduo da stabilire con certezza.
Ma di certo c’è che lo zucchero non era conosciuto nel mondo antico e per dolcificare si usavano altri ingredienti, in primis il miele. Va da se che quindi lo zucchero non poteva essere uno dei sette ingredienti dell’antica pastiera (e nemmeno il miele in sostituzione, poiché questo insieme alla ricotta crea un composto assolutamente diverso). Nell’elencare i sette ingredienti poi, tra i tanti si ricordano la farina e il grano. Senza troppo insistere, appare palese anche qui la forzatura per far tornare i conti a vantaggio della propria tesi, trattandosi in fondo dello stesso ingrediente in due forme diverse.

Gli ingredienti utilizzati in passato poi, non erano solo quelli che conosciamo oggi e anzi nella pastiera c’erano ingredienti che non ci aspetteremmo mai. Il già menzionato Antonio Latini nella composizione inserisce anche, “Parmiggiano grattato”, pepe, pistacchi e pasta marzapane.

Il pepe era presente, insieme alla cannella, anche nella ricetta delle monache di san Gregorio Armeno

Ippolito Cavalcanti invece, circa un secolo e mezzo più tardi, ci tramanda una ricetta molto più simile a quella odierna.

E quindi qual è la verità?
Come abbiamo visto, e come è ovvio che sia, è difficile che una preparazione attraversi secoli e secoli indenne, ma anche che sia il frutto di una creazione avvenuta in un momento unico esattamente individuabile nel tempo e nello spazio. Le ricette giunte fino a noi sono sempre frutto di elaborazioni successive, miglioramenti o variazioni dovuti alla reperibilità di ingredienti, al cambiamento del gusto o al miglioramento delle tecniche di cucina.
Andare a scomodare, o meglio inventarsi, presunte ricette originarie (in assenza di documenti) è, non solo un’operazione menzognera, ma potrebbe risultare addirittura deludente, qualora se ne assaggiasse il frutto.
Quindi come abbiamo visto non c’è nulla di storicamente accertabile di quanto asserito nella tesi dei sette ingredienti e del tracciato stradale, che però si sta diffondendo sempre più, creando anche disagio in molte persone, che nel presentare ai congiunti e al mondo dei social la propria creazione, si scusano per non aver rispettato la tradizione, mentre le nonne (indenni delle follie del web) sobbalzano dalle sedie.

Ma soprattutto, La pastiera ha davvero bisogno di una veste aulica cucitale addosso (apparentemente) su misura che probabilmente non ha mai avuto? Non è sufficiente la sua stessa esistenza, così come è arrivata fino a noi a darle la necessaria dignità? Perché aggiungere sovrastrutture tirate fuori dal nulla come da un “cilindro”?

A chi giova tutto ciò?

E quindi, godiamocela così come ci è arrivata con quella sua grazia e armonia di gusto ed estetica. La pastiera, e con essa Napoli, non ha bisogno di mistificazioni.

Pastiera napoletana
La pastiera

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