Il convento di Sant’Angelo. Uno straordinario “Palco” con vista Vesuvio
Posto a mezza altezza sulla collina di Cicala da dove domina tutta la città di Nola e la piana vesuviana il complesso conventuale di Sant’Angelo in palco non sfugge alla vista di chi si trovi a percorrere i dintorni. Gli archi del pronao d’accesso alla chiesa, il campanile e la mole del convento attirano certamente l’attenzione di chi riesce a guardare un po’ oltre gli affanni della vita contemporanea.
Un palco con vista sulla storia
Il monastero di Sant’Angelo in Palco fu eretto nel XV secolo sulla collina di Cicala presso Nola per volontà di Raimondo Orsini, gran giustiziere del Regno di Napoli nonché conte di Nola e principe di Salerno. L’Orsini lo volle erigere in onore di San Michele Arcangelo, già venerato in una grotta nei pressi, e allo scopo di donarlo all’ordine dei frati francescani osservanti, che si ispiravano alla originaria regola dettata da San Francesco. Assunse la denominazione in Palco per l’affaccio privilegiato che offre verso il panorama sottostante.
Inizia la costruzione
La fondazione è databile tra il 1431, anno di istituzione dell’ordine degli osservanti e il 1436, quando Raimondo sposa in seconde nozze Eleonora d’Aragona. Nel 1418 Raimondo Orsini aveva preso in sposa Isabella Caracciolo del Sole ed insieme ad essa fondò questo convento, come ci racconta lo stemma bipartito murato sulla facciata nel quale sono visibili le armi degli Orsini e dei Caracciolo del Sole. I lavori furono conclusi circa venti anni dopo, però in seguito ai danni causati dai terremoti legati all’eruzione del Vesuvio del 1631 il complesso, che intanto nel 1626 era passato ai frati francescani riformati, fu rifatto quasi totalmente. La nuova chiesa venne consacrata da Francesco Gonzaga Vescovo di Nola nel 1661. Dell’impianto originario oggi restano alcuni archi inglobati nelle murature e la Cappella della Natività, con l’arco d’accesso decorato all’intradosso con una doppia fila di rosoni.
L’assalto al convento all’epoca di Masaniello
Il passaggio del convento ai riformati non fu mai ben accettato dagli osservanti e infatti questi, approfittando dei disordini scoppiati a Napoli con la rivolta di Masaniello nel 1647, assalirono il convento riuscendo a scacciare i riformati. Le autorità ecclesiastiche però fecero tornare alla ragione i frati assalitori e il convento fu restituito ai riformati che vi restarono fino 1866, quando questo fu chiuso con la soppressione degli ordini religiosi decretata dal nuovo Regno d’Italia [1]. Seguirono vari passaggi di proprietà, con molti anni di abbandono finché intorno al 1950 alcuni frati tornarono a popolare il convento.
Attualmente Il complesso è chiuso da circa dieci anni a causa della difficoltà di gestione dovuta anche alla crisi delle vocazioni e viene riaperto solo sporadicamente. Purtroppo la scarsa frequentazione del luogo di recente ha favorito un nuovo assalto sacrilego ad opera di ladri che sul finire del 2020 si sono introdotti nella chiesa trafugando marmi, oggetti e il pavimento maiolicato del presbiterio.
La visita a Sant’Angelo in Palco
Dopo aver percorso la scenografica e lunga rampa di scale che conduce al sagrato si viene accolti dal pregevole pronao d’ingresso composto da cinque archi a tutto sesto realizzati con colonne e capitelli di spoglio del periodo classico e medioevale.
Lo spazio è coperto con volte a crociera ed ha le pareti interamente affrescate. Da qui si gode uno spettacolare panorama su Nola, con la vista che spazia fino a Napoli e i Campi Flegrei. Poi la Terra di lavoro a nord dal Monte Partenio fino al Castello del Matinale e oltre. Mentre verso sud si staglia imponente il profilo del complesso vulcanico del Somma-Vesuvio.
La chiesa
Varcato il semplice portale d’accesso in pietra lavica con stemma dell’ordine dei frati minori si accede alla chiesa passando sulla lastra sepolcrale di Raimondo Orsini, il fondatore e mecenate del convento, che fu posizionata all’ingresso per sua espressa volontà testamentaria, al fine di essere simbolicamente calpestato in eterno.
L’aula liturgica rispecchia ancora l’impostazione dei francescani osservanti è ad unica navata con cinque cappelle sul lato sinistro e copertura a capriate.
Degno di nota è l’altare maggiore realizzato in tarsie marmoree con pregevole ciborio opera di Jacopo Lazzari realizzato tra il 1614-15 “tra i più antichi esemplari di cibori marmorei conservati nel napoletano”[2].
Il paliotto che invece risale al 1739 presenta al centro la figura dell’Arcangelo Michele mentre trafigge il demonio in veste semi antropomorfa con coda da serpente ed ali da drago, realizzata in marmi colorati e madreperla.
Alle pareti sono murati alcuni reliquiari in marmo tra cui quello di San Gennaro, mentre da quella destra sporge un bel pulpito cinquecentesco in legno intarsiato. Vi sono anche alcuni pezzi superstiti dell’antico coro ligneo che era posizionato sulla controfacciata e realizzato secondo alcuni dallo scultore e architetto rinascimentale Giovanni Merliano da Nola ritenuto dal Vasari “iscultore maraviglioso e di tutti il migliore”.
Alle spalle dell’altare maggiore vi è un bel coro allestito con stalli in legno del XVIII secolo.
Da qui si accede alla sacrestia coperta da volte affrescate e anch’essa con pregiati arredi in legno, un bel pavimento maiolicato ed un lavamani in marmi commessi probabile ricomposizione di una precedente acquasantiera sempre opera del Lazzari.
Il Chiostro
Passiamo poi al chiostro di forma rettangolare con pozzo centrale. La conformazione architettonica ci rimanda al XV secolo con archi in piperno a tutto sesto su colonne in marmo bianco. Le pareti sono affrescate con scene della vita di san Francesco e altri santi francescani e risalgono al 1840.
Un misterioso affresco miracoloso
Lungo il braccio del chiostro opposto alla chiesa troviamo un piccolo altare in marmo incastonato in una nicchia ad arco con un affresco dell’Arcangelo Michele nell’atto di trafiggere il dragone, incarnazione del demonio. Sull’altare è inciso il motto micaelico Quis ut Deus: “Chi come Dio”.
Questa rappresentazione era ritenuta miracolosa dalle fonti antiche e secondo la leggenda fu completato da uno sconosciuto viandante che chiesta ospitalità per una notte la trascorse in realtà a dipingere il volto dell’Arcangelo lasciato incompiuto dal pittore che vi stava lavorando, per poi sparire misteriosamente prima dell’alba senza aver nemmeno consumato il pasto offerto dai frati.
Un cenacolo leonardiano
Il chiostro conduce anche al refettorio, un unico ambiente coperto da una serie di volte a crociera interamente affrescate con motivi a grottesca ed inserti con scene di profeti e nelle lunette del Vecchio Testamento.
Sulle pareti sono invece affrescate scene della Passione di Cristo. Degna di nota è la parete di fondo dove in alto è affrescata la Crocifissione mentre nel registro inferiore sono rappresentate la Lavanda dei piedi e un’Ultima Cena che ha suscitato qualche discussione tra gli amanti dei misteri a causa dell’aspetto androgino di Giovanni, nella cui figura hanno voluto vedere quella della Maddalena, collegando così l’affresco alle romanzate vicende del Cenacolo di Leonardo da Vinci. La maggior parte degli affreschi risalgono al 1503 ma probabilmente sostituirono un ciclo di affreschi più antico, come testimoniato da un riquadro riemerso durante i lavori di restauro rappresentante la flagellazione di Cristo.
Luogo di Fede e Scienza
Il convento oltre ad essere luogo di preghiera era anche luogo di studio e approfondimento, sia del sapere teologico che scientifico.
Testimonianza di ciò è la biblioteca, elemento atipico per gli ordini francescani e più affine agli studi promossi dai domenicani.
Aperta nel 1695 e attiva, anche per gli studiosi laici, fino al 1859 e sembra fosse anche dotata di strumentazioni per lo studio dell’elettromagnetismo[3].
Questa è ospitata al piano superiore del convento e ancora oggi, nonostante le spoliazioni subite dopo la chiusura del convento nel 1866, nelle scansie di legno del XVIII secolo sono conservate numerose opere antiche.
Per una galleria fotografica più ampia rimando al mio album su Facebook
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[1] Sabrina Iorio, Aggiunte a Jacopo Lazzari: i cibori di Sant’Angelo in Palco di Nola e della certosa di San Giacomo di Capri. In Ricerche sull’arte a Napoli in età moderna Scritti in onore di Giuseppe De Vito, Artem 2014, pagg. 55-65.
[2] Michele Napolitano, Indescrivibile bellezza, Il convento di Sant’Angelo in Palco a Nola. In In Dialogo Mensile della chiesa di Nola, anno XXVI numero 4 aprile 2011, pag. 7.
[3] Vincenzo Curion, Il convento di Sant’Angelo in Palco in Wolf, Anno XVIII Numero 19, 1-15 ottobre 2019.
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