Coronavirus, Giovani Farmacisti collaboratori lanciano allarme: “Obbligateci a lavorare a battenti chiusi”

Riceviamo e pubblichiamo una lettera inviataci da R.E. e X.Y., due farmaciste collaboratori campane che preferiscono restare anonime ma che vogliono dare voce alla categoria dei Farmacisti e sulle difficili condizioni lavorative in cui lavorano al tempo del Coronavirus.

Scrivo a nome mio e della mia collega, in merito ad un problema che, ormai, dovrà esservi giunto da più parti ma che ancora non trova soluzione: la posizione dei farmacisti durante l’emergenza Coronavirus in Italia.
Si sentono lamentele su più fronti, tra i nostri colleghi, e non sappiamo quante di queste effettivamente siano arrivate sino a voi, ma troviamo necessario ad oggi esprimere la necessità di agire tempestivamente per salvaguardare la salute di tanti farmacisti sul territorio nazionale e, nel nostro caso specifico, campano.

I farmacisti collaboratori costituiscono, attualmente, i 2/3 della categoria professionale. Tuttavia, pare non ci sia per noi un’adeguata istituzione che ci tuteli né dal punto di vista finanziario (ricordiamoci del mancato rinnovo del ccnl) né dal punto di vista di salute, considerando i fatti recenti. Siamo stati tra le ultime categorie professionali citate durante quest’emergenza; eppure, ogni giorno, nelle nostre farmacie, si riversano decine di persone, malate o meno, alla ricerca di consigli, richieste, aiuto. Attivi sul territorio oggi e sempre, nessuno si è preoccupato di rifornirci degli appositi dispositivi di sicurezza. Da nessuna parte ci è stato fatto il minimo gesto di soccorso; abbiamo ricevuto qualche parola di incoraggiamento, un plauso al nostro coraggio, ma nessun aiuto concreto.
Le mascherine per noi farmacisti esistono? Perché non ci vengono rifornite, considerando la nostra posizione di operatori sanitari?
Dobbiamo procurarcele da soli?

Perché ogni anno paghiamo tanti soldi per svolgere il nostro lavoro, se poi nessuno ci tutela realmente e si preoccupa di darci un’adeguata protezione?

Personalmente indossiamo la stessa mascherina da 20 giorni, procurata in autonomia. Dopo questi 20 giorni, che potere filtrante potrebbe ancora avere rispetto al più stupido dei batteri? Nessuno. Figuriamoci rispetto al coronavirus.

Una circolare per la Campania autorizzava le farmacie a lavorare a battenti chiusi, ma tale autorizzazione è risultata un consiglio, piuttosto che un obbligo. La differenza tra i due vocaboli è sostanziosa. Quasi nessuno ha ascoltato questo consiglio.
Ed i farmacisti collaboratori continuano a stare in trincea, con la stessa mascherina, con i guanti monouso che ogni volta che li butti la sera ti piange il cuore, perché spesso mancano anche quelli e non sai se ce ne saranno abbastanza per i giorni che verranno. Qualcuno tra noi, più fortunato (noi comprese), ha il vetro in plexiglas sul banco, ma è una protezione minima, considerando la maleducazione e l’ignoranza della gente, che spesso si abbassa per parlare al di sotto di quel vetro perché crede di non essere ascoltata. Le nostre raccomandazioni cadono nel vuoto ed ogni giorno è una battaglia.

Per questo vi chiedo: Obbligateci a lavorare a battenti chiusi. Tutelate la nostra salute, la salute delle nostre famiglie, la salute degli stessi clienti che potrebbero contagiarsi se uno solo di noi fosse positivo. Obbligate ai Battenti chiusi.
Siamo lavoratori instancabili e vogliamo lavorare sempre, nonostante l’emergenza, ma non vogliamo essere vittime sacrificali di nessuno. Qualcuno di noi ci ha già rimesso la vita a al Nord Italia, penso lo sappiate.

Nella speranza che questa lettera non resti inascoltata, vi porgiamo cordiali saluti”.

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