Cronache dalla quarantena #1
Da oggi, a voi piacendo, incominciamo un piccolo diario, senza pretese, per carità, ed utile forse più a chi lo scrive che a chi lo legge; una piccola cronaca della quarantena alla quale giustamente sottostiamo e che deve pur sempre essere esorcizzata per la salute psichica oltre che per quella fisica di chi la vive.
Giorno 18
“Ma ora le cose sono cambiate. Adesso Wuhan siamo noi, e speriamo che nessuno ci abbandoni nell’indifferenza come abbiamo fatto noi, inizialmente, con gli abitanti della Cina”
Marco Fumian
È, in maniera non continuata, il mio diciottesimo giorno di permanenza forzata a casa, il quindicesimo se tolgo i tre giorni in cui sono tornato temporaneamente a scuola, dove lavoro, e qualcosa di meno se sottraggo le domeniche e i lunedì, miei giorni liberi. Diciamo una quindicina di giorni fuori dalla realtà quotidiana, la realtà che fino ad allora conoscevo e che tutti noi conoscevamo; mezzo mese di disorientamento e confusione, mezzo mese di corona virus.
In realtà il tutto si era sviluppato in maniera più graduale e inesorabile un po’ prima, almeno da quel 20 febbraio allorquando al “paziente uno” di Codogno gli era stata diagnosticata un’affezione da covid 19. Da allora, tra incredulità, ilarità, scetticismo, razzismo, timori repentini e atavici, tra accuse e indignazioni dell’ultim’ora si era innescata quella spirale verso il basso che ci aveva portato nell’abisso dell’incertezza, della paura e dell’epidemia.
Come docente di scuola superiore, ho spesso dismesso i panni di insegnante di lingue e ho indossato quelli di educatore e sovente raccomando ai miei studenti di non cadere nelle trappole mediatiche che soprattutto i social, ma anche la pressione sociale che ne scaturisce, tendono alle giovani menti (e non solo!), e a maggior ragione, spinto dal mio sperimentato scetticismo, consigliavo loro di non temere le notizie catastrofistiche che provenivano dalla Cina e che poi, gradualmente, incominciavano a riguardare anche l’Italia.
Ebbene mi sbagliavo.
Sì, ho peccato di presunzione, ed ho, anche se senza danno, illuso i miei studenti che tutto si sarebbe risolto in una bolla di sapone e invece no, oggi ci troviamo col maggiore numero di contagiati dopo la Cina (positivi 23.073 – deceduti – 2.158 – guariti 2.749) ed ancora lontani dal picco della diffusione della malattia. A mia discolpa c’erano le precedenti epidemie o preannunciate come tali a rafforzare il mio scetticismo, ben poca cosa rispetto a questa e foriere, oltre che di sofferenza, anche di speculazioni economiche, disprezzo della verità e dell’informazione scientifica ma, tutto ciò non mi giustifica, per la responsabilità che sento nei confronti dei miei alunni. Mi è servito però, e spero mi servirà, a questo punto, anche di insegnamento futuro. Nella vita non si può dare mai niente per scontato e bisogna essere sempre razionalmente vigili e, soprattutto, non essere presuntuosi e pecché stammo tutte quante sotto a ‘stu cielo.
Il 4 marzo esce il decreto di Conte che chiude le scuole fino al 15 marzo, e già con questo la cosa incominciava a prospettarsi diversa da quanto si potesse immaginare, più grave e inaspettata rispetto alla nostra storia recente. Il 9 marzo, con un nuovo decreto, il Presidente del Consiglio dei Ministri, prolunga, assieme a tutta una serie di altri interventi per il contenimento del virus, la chiusura delle scuole fino al 3 aprile e qui arriva la conferma della gravità estrema della situazione; tre giorni di scuola e poi arriveranno le vacanze di Pasqua e se ne zompa un’altra settimana e questo nella migliore delle ipotesi. Ma sarà nella settimana successiva quando ci renderemo finalmente conto delle difficoltà del Paese. I successivi decreti metteranno in atto una quarantena forzata e l’inizio della creazione, anche al Sud di zone rosse per il contenimento del contagio.
Per molti sembra vivere un film di fantascienza, quei film sugli zombie o sulle pandemie che azzerano l’umanità; a me oggi sembra come vivere in un agosto perenne, un Eterno agosto come la canzone di Álvaro Soler, fatto di silenzio per le strade ma rumore nei social e nella televisione, un silenzio tanto anelato da chi vive ai margini della metropoli ma ora tanto temuto perché anomalo, latore di lutto e sofferenza e perché sintomatico di un meccanismo che va man mano arrestandosi e che stenterà nel rimettersi in moto nel futuro più prossimo. In compenso c’è il rumore del nulla, il nulla di chi non sa far altro che dar sfogo alla propria paura lanciando ami agli altri per vedere se li colgono con il suo stesso timore o se pescano più sicurezza. Un telefono senza fili dove la realtà, di per sé confusa, si confonde ancor di più, anche per chi è avvezzo al raziocinio. Poi c’è chi vede avanti e pensa al suo futuro politico, facendo campagna elettorale sulle disgrazie degli altri, diffusori seriali di post, maneggiatori di una realtà che neanche loro conoscono ma danno ad intendere di comprendere e, soprattutto di svolgere un servizio per la comunità.
I complottisti
Questa specie esiste da sempre e la Rete e le reti sociali non hanno fatto altro che amplificare il raggio d’azione del bar dello sport, del circoletto o del salone del barbiere, diffondendo le teorie complottistiche ai quattro venti dell’orbe terracqueo. Anche in questo caso, come quando si verifica una catastrofe, esce fuori chi afferma di conoscerne le cause o le colpe, e lo fa con rara saccenza e convinzione avendo sempre a disposizione un “cuggino”, un amico o l’amico di un amico che conferma le sue teorie e che diffonderà su Whatsapp, “perché in televisione non ti diranno mai queste cose” o su Facebook, “prima che lo cancellino”. Esisterà sempre un nemico misterioso che trama nell’ombra e che giustificherà con le sue malefatte le nostre di inadempienze. Si va quindi dal complotto anti-napoletano alla congiura internazionale.
Il primo, quello che vorrebbe un Nord untore a danno di un Sud tutto sommato ancora in una fascia di sicurezza rispetto al resto del paese, ma senza valutare il fatto che coloro che sono letteralmente scappati da Lombardia, Veneto ed Emilia verso i luoghi natii, altro non erano che meridionali che studiavano e lavoravano precariamente lì; grave errore, azione discutibile, ma sicuramente senza predeterminazione alcuna e dettata esclusivamente dall’irrazionalità della paura e agevolata da uno stato poco attento. C’è poi la solita revanche neoborbonica o un fac-simile di questa che vorrebbe una stampa supina ai dettami settentrionali e che non menzionerebbe ad esempio i buoni risultati del Pascale di Napoli sulla sperimentazione di un farmaco contro la polmonite interstiziale, una delle conseguenze più gravi dell’infermità e che, al pari del presunto primato dell’isolamento del covid 19, sempre ad opera di meridionali, sarebbe stato volutamente sottaciuto. L’unico oblio evidente è invece quello della Cina, artefice di entrambe le scoperte e messe in rete per collaborare a livello internazionale con l’Italia e con chiunque volesse farlo. La Cina, paese complesso e complicato, millenaria cultura e regime totalitario ma, ai nostri occhi provinciali, nazione di pezzotti, di pandemie e mangiacani; e bersaglio delle nostre invettive e del nostro sarcasmo fin quando il virus non ce lo siamo trovati in casa e capirne il significato sulla nostra stessa pelle ad opera di altri, più o meno inconsapevoli attori, di questa grottesca farsa.
Il complottismo internazionalista vorrebbe invece che il virus fosse stato diffuso, a seconda delle simpatie, dagli USA in Cina durante le Olimpiadi militari, o dalla Cina verso il resto del mondo per destabilizzarlo; a che pro, viste le conseguenze, non lo si riesce ancora a capire. Sta di fatto che c’è chi vede i carrarmati per strada, chi teme l’invasione USA e chi rispolvera le scie chimiche quali vettori del covid 19. Vittima sacrificale dell’epidemia è ancora una volta, oltre che la ragione, l’Unione Europea, un’Europa matrigna concretizzata nelle azioni di Francia e Germania, che pure non hanno brillato per iniziativa e solidarietà, ma chi è senza peccato scagli la prima pietra. E poi c’è sempre il cinese che, come l’ebreo, lo zingaro, il gay, il vegano o lo strano è il bersaglio di chi non sa dare altra spiegazione dei suoi dubbi e dei suoi mali se non alla congiura del diverso, dell’altro, di chiunque possa alleviare la pressione interna di chi non sa interpretare la sua realtà o non vuole andare a cercarsela, di chi è stato da sempre abituato a pensare alla contingenza del momento e nulla più; lo stesso uomo qualunque che cerca l’uomo forte che gli risolva ogni tipo di problema.
Davanti a tutto ciò immaginerete lo sconforto della ragione e di chi è avvezzo ad usarla, non che la coscienza dei fatti allevi i timori di chi ha le idee più chiare ma quanto meno questi fanno meno confusione del marasma mediatico che, in un modo o nell’altro, ci raggiunge e, il silenzio, il melodico silenzio, è l’unica cosa bella che si apprezza in questi frangenti.
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