Fuoco perenne
Ancora una volta il parco nazionale del Vesuvio brucia, ancora una volta l’epicentro è la popolosa Torre del Greco, ma pare che le fiamme siano divampate in maniera minore anche in altri comuni. Perché non si riesce a far fronte questa annosa sciagura?
Ieri come oggi Canadair ed elicotteri hanno arginato dal cielo ciò che non si riesce a fermare da terra, vuoi per esiguità di uomini e mezzi, vuoi perché, oggi come nel 2017, manca una progettazione che abbia riscontri oggettivi nella realtà del territorio ma soprattutto una visione realistica del territorio. Ma anche perché il combustibile presente, frutto del disastro di tre anni fa o, come negli ultimi casi, vegetazione incolta di zone rimaste illese dagli ultimi incendi, è ancora tanto così come l’inerzia, l’ipocrisia e la mancata ottemperanza delle direttive comunali là dove ci sono.
È evidente che chi non sa imparare dai propri errori merita di subirne le conseguenze, e così vale per chi ancor più cieco di lui, ne ha seguito ed elogiato l’atteggiamento per dabbenaggine, ignoranza o per innata tendenza a prostrarsi davanti al potere. Non basta oggi, come non bastava ieri gridare all’azione criminale, non è più sufficiente, non si giustifica l’inerzia così come non si può giustificare un’azione basata solo sulle carte e su convenzioni limitate allo stanziamento di pochi uomini e mezzi; non si salva così il Parco Nazionale del Vesuvio.
La cronaca di questo luglio 2020 ci mostra ancora una volta una realtà propositiva ed attiva, quella di talune associazioni, che con armi spesso impari e non sempre ben viste dalle autorità, lottano contro fuoco e idiozia, ma anche contro l’ipocrisia di chi preferisce vedere un nemico invisibile, un nemico subdolo che appiccherebbe incendi a destra e a manca e non si sa per quali motivi questo poi lo faccia. La vulgata nel 2017 era quella che, essendo tanti i focolai, era evidente che ci fosse un’azione studiata da questi fantomatici criminali, oggi invece è quella che, essendo il fuoco delimitato sempre nella stessa zona, tutto ciò palesi una nuova azione dolosa contro il parco. A questo punto mettetevi d’accordo su quale scusa tirare in ballo oppure assumetevi le vostre responsabilità e fatevi da parte.
Non ci stancheremo mai di dirlo ma le zone che sono bruciate in questi giorni sono aree private incolte, molte poste nelle prossimità di abitazioni od opifici. Non piove da giorni, il forte vento secco, oggi come tre anni fa, non può fare altro che alimentare tutte quelle fiamme che possono scaturire, in un modo o nell’altro, dall’azione dell’uomo, in maniera dolosa così come colposa. Sì perché oggi come ieri si continua a fare confusione su questi semplici quanto fondamentali concetti e la confusione, si sa, fa sempre comodo a qualcuno.
Il dovere istituzionale è quello di prevedere non quello di giustificarsi, non è quello di lamentare carenza di fondi e fare spallucce davanti al fuoco quando non capita un’estate umida, il dovere delle istituzioni è quello di agire prevedendo tutto, follia o crimine che sia, altrimenti c’è inadempienza.
Prima che tornino i gatti kamikaze e i sub pescati dai Canadair, c’è chi ripropone il piromane di turno, senza capire la differenza tra questi e un incendiario. Nel momento in cui non si sa chi possa essere causa di tanto sfacelo, stabiliamo una volta per tutte che il piromane è una persona che per patologia psichiatrica decide di dare fuoco alle cose, ma quanti ce ne saranno intorno a noi? Il piromane agisce sempre e non soltanto d’estate. Del resto, il presunto reo dell’incendio di un ettaro di bosco nel 2017, Leonardo Orsino, è ancora in galera e quindi dovremmo pensare a qualcos’altro e ad evidenti concause invece di immaginifici complotti.
Sì, i complotti, quelli che mettono tutti d’accordo, istituzioni e cittadini, perché assolvono tutti pur non additando nessuno! Assolvono chi non adempie ai suoi doveri amministrativi e chi non adempie ai suoi doveri civici. Ribadiamolo quindi: nel Parco Nazionale del Vesuvio non si può costruire quindi è inutile bruciare per poi edificare; gli incendi nelle discariche hanno poco o nulla a che vedere con quelli boschivi che talvolta mettono in evidenza vecchie discariche ma non prendono fuoco da esse; i Canadair sono tutti dello stato, così come in Campania, anche gli elicotteri quindi non esiste una lobby che possa trarre guadagno dall’opera di spegnimento; le maestranze e gli operatori forestali dell’Antincendio boschivo (AIB) sono dipendenti delle società in house di Regione e Città Metropolitana che non hanno interesse a salvaguardare il loro lavoro da stagionale e gli incendi di questi giorni a Torre del Greco riguardano terreni privati, spesso abbandonati e prossimi alle case; per quale ragione quindi i proprietari o chicchessia agirebbero contro se stessi o contro la propria comunità senza guadagno alcuno? Ficchiamocelo bene in testa una volta per tutte, viviamo in una delle zone più densamente popolate d’Europa, dove anni di antropizzazione intensa e spesso selvaggia, hanno accerchiato l’unico grande polmone verde della provincia. È facile quindi che le attività umane entrino spesso in conflitto con natura e condizioni meteo, è facile quando la realtà locale ci mostra un contesto di incuria e abbandono sul suolo pubblico così come su quello privato. Ipotesi meno accattivante ma molto più crudamente realistica.
La settimana scorsa ad esempio, tra San Sebastiano ed Ercolano, un pericoloso focolaio era scaturito dall’uso di un “flex” durante dei lavori in una zona ricca di sterpaglia e rifiuti: questo è l’esempio di quello che rischiamo, quando non si capisce o non si vuole capire la precarietà dell’equilibrio in cui versano le nostre zone e in particolar modo il parco.
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