Il Natale che non c’è
Tra Santa Claus, elfi, renne e consumismo, mi sa che per salvaguardare il Natale cristiano abbiamo sbagliato extracomunitario.
Mercoledì 5 dicembre 2018, durante una seduta parlamentare, il deputato della Lega Rossano Sasso presenta a Montecitorio un’Interrogazine sulle “Iniziative volte a salvaguardare nelle nostre scuole le nostre tradizioni che contraddistinguono il Natale cattolico”
Il leghista di origini baresi sottolinea come “il nostro Natale, il Natale cattolico” corra il rischio di essere svilito “… dall’ipocrisia del politicamente corretto” e questo poiché “…sistematicamente nei giorni dell’avvento, assistiamo ad iniziative nelle nostre scuole per sospendere, alterare, nascondere, quasi come se fossero una vergogna, quei riti e quei simboli, come il presepe e i canti natalizi …”.
Orbene, visto e considerato che lo stesso ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, Marco Bussetti, destinatario dell’interrogazione, conferma la conoscenza “ … delle iniziative assunte da alcuni dirigenti scolastici e docenti che hanno deciso di rimuovere il presepe dalle scuole e di censurare alcuni canti natalizi …”; verrebbe da chiederci, al netto di suddette ed opinabili iniziative, dove vivano questi nostri politici, nel mondo reale o in quello del ministero della paura che preannuncia invasioni ed assimilazioni bibliche?
Anni fa un parroco di Potenza ebbe seri problemi nell’esporre nella sua chiesa un presepe, a detta dei parrocchiani, con pastori fin troppo levantini per i loro gusti e questo con buona pace di chi sapeva che Cristo non fosse nato di certo in Svezia; non era biondo con gli occhi azzurri e che nacque invece in Palestina. Forse quel presepe rappresentava un esempio molto più vicino al summenzionato Natale cattolico ma invece no, la gente voleva il fac-simile del Cuciniello o qualcos’altro, di sicuro non quello filologicamente più corretto e di ispirazione orientale. Tutto ciò, se paragonato all’invasione di simboli e personaggi appartenenti più alla tradizione celtica che a quella cattolica, lascia intendere la portata della confusione sull’argomento, non solo presso i nostri politici, che si prodigano addirittura in un’interpellanza parlamentare sull’argomento, ma presso gli stessi italiani che ormai non distinguono più la differenza tra Benino che dorme e il grassone della pubblicità della Coca-Cola.
Per le nostre strade, ma sicuramente anche nelle nostre case, sarà facile di questi tempi vedere ovunque abeti, agrifoglio, vischio, renne, slitte, elfi, fiocchi di neve, stelle di Natale, omini di panpepato e l’iconografia di Santa Claus coniugata in tutte le salse che il consumismo ammette, fin anche nelle sue forme sexy in abiti femminili. Ovunque mercatini di Natale, ovunque troveremo scritto merry Christmas ed happy new year e tutto ci richiamerà ad un non meglio definito mondo natalizio che brancola tra il celtico e l’anglosassone o s’ispira ad iconografie di più recente acquisizione. Anche quelle figure ancestrali come la Befana, quella che fino a cinquant’anni fa portava dolci e regali ai bambini buoni da Roma in giù, è stata ormai relegata a personaggio di secondo piano o, tutt’al più, a cummarella di Babbo Natale. Tutte immagini che in realtà hanno un solo scopo, non quello di celebrare l’avvento di una speranza ma quello di enfatizzare la spinta a spendere le nostre tredicesime.
Anche le pubblicità proiettano i nostri prodotti natalizi più tradizionali in contesti hollywoodiani e la stragrande maggioranza dei film che si proiettano durante le feste sono statunitensi e i classici non sono più come “Natale in casa Cupiello” ma “Mamma ho perso l’aereo” e “Una poltrona per due”, senza che nessuna di queste pellicole, e tanto meno le altre, facciano riferimento al nostro amato presepe ed ai tanto decantati valori cattolici che avrebbero dovuto rappresentare il nostro Natale.
Non sarà allora che il problema è proprio quel parente prossimo che non si vuol invitare alla nostra tavola natalizia? Colui che con i suoi tratti somatici mediterranei ci ricorda fin troppo bene da dove veniamo? Meglio voler assomigliare (o almeno sperarlo) allo Zio Sam, colui che ci fa sentire meno poveri e più integrati in quella globalizzazione occidentalizzante che ci rende tutti uguali ad un canone che riteniamo vincente. Che ci rende simili a chi ci comanda e ci allontana da quei quattro disgraziati sui barconi che evocano in noi ataviche visioni di un passato che vorremmo remoto e che invece di tanto in tanto ci bussa alla porta.
E le canzoncine natalizie, pure quelle tutelate dai nostri politici? Sostituite, nel migliore dei casi, dai Gospel, che se canti cristiani sono, non hanno nulla a che vedere con il tanto propugnato cattolicesimo poiché provengono in buona parte dalla tradizione evangelica e protestante americana, lasciando infine ai crooners, anch’essi rigorosamente d’oltreoceano, il riproporsi ad ogni dicembre per vendere il loro immancabile disco di Natale e addio a ciaramelle, zampognari ed affini.
Si paventa in effetti un’invasione dalle tinte fosche sotto i colori della mezza luna e dalla pelle scura, un’invasione che non c’è, e chissà mai se ci sarà, dimenticando però che un’invasione reale e tangibile c’è già stata ed è stata attuata prima con le armi, durante la seconda guerra mondiale e poi con l’economia e la finanza, colonizzandoci culturalmente e in maniera così graduale e così tanto, da non accorgercene e soprattutto considerando nostro patrimonio ciò che ci è invece culturalmente alieno e talvolta considerando estraneo ciò che in realtà ci appartiene.
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