Il ritorno dello Sparviere
Abbiamo l’onore di ospitare tra le pagine di VesuvioNews un interessantissimo articolo di Maurizio Fraissinet, zoologo, autorevole firma dell’ornitologia italiana ed europea, già Presidente del Parco Nazionale del Vesuvio, Commissario del Parco Regionale del Matese ed attivo ambientalista vesuviano.
La Redazione
Ero studente liceale, camminavo lungo una strada di San Giorgio a Cremano e incontro un cacciatore, fucile in spalla, che camminava nella direzione opposta alla mia con in mano un trofeo di caccia di discrete dimensioni: una femmina di Sparviere sparata sul Vesuvio.
Una scena raccapricciante che mi si è impressa nella mente. Eravamo negli anni ’70, l’Italia contava 2 milioni di cacciatori, ma, nel contempo vedeva manifestarsi le prime iniziative ambientaliste di massa. Una di queste erano le marce che venivano organizzate ad ogni primavera per ottenere l’istituzione del Parco del Vesuvio, senza specificare se nazionale o regionale, in assenza di una legge quadro nazionale di riferimento. Marce alle quali ovviamente partecipavo.
Dopo la laurea, in quanto zoologo, sono stato chiamato spesso a scrivere sulla fauna del complesso vulcanico Somma – Vesuvio e ogni volta, puntualmente, con rabbia e tristezza riportavo l’estinzione dello Sparviere.
Lo Sparviere, il cui nome scientifico è Accipiter nisus, è un rapace diurno dell’ordine degli Accipitriformi, un ordine della classe degli Uccelli, che comprende anche le aquile, le poiane, i nibbi, le albanelle. Tutti uccelli, questi ultimi, definiti veleggiatori perché dotati di ali larghe che tengono aperte quando sono in volo in modo da sfruttare le correnti calde ascensionali e mantenersi in aria senza sforzi, perlustrando i sottostanti territori con una vista particolarmente sviluppata alla ricerca di una preda. Una volta individuata, chiudono le ali e si buttano in picchiata su di essa, poco prima di atterrare portano in avanti le zampe con i piedi artigliati e la catturano. Le specie del genere Accipiter (in Italia Sparviere e Astore) utilizzano una strategia di caccia diversa. Vivendo in ambienti forestali devono individuare la preda nel fogliame e o nelle radure e inseguirla con un volo rapido e agile. Un volo agile che consente loro di inseguirla zigzagando tra i tronchi degli alberi e di essere velocissimi in campo aperto. Negli Accipitriformi il dimorfismo sessuale si manifesta nelle dimensioni, con le femmine più grandi dei maschi. Nello Sparviere il dimorfismo sessuale è accentuato con la femmina grande quasi il doppio del maschio e quest’ultimo che presenta una colorazione rosso – vinato sulle parti inferiori.
Per questo fu facile per me riconoscere la specie e il sesso dell’animale ucciso dal cacciatore di San Giorgio a Cremano. In quegli anni del resto praticavo già il bird-watching e militavo nelle file del WWF Italia. In volo la specie si riconosce per le ali corte e larghe e la coda lunga, quando si posa mantiene una postura eretta e se si ferma sui rami nella foresta è difficilmente osservabile per la colorazione mimetica del piumaggio con le parti superiori di un colore grigio ardesia nel maschio, grigio brune nella femmina, le parti inferiori sono fittamente barrate e di colore rossiccio nel maschio e chiare, invece, ma sempre fittamente barrate nella femmina. Il nido viene realizzato sugli alberi e i pulcini, in genere in numero di 3, massimo 5, alla nascita sono coperti da un candido piumino bianco, e si involano dopo 24 – 30 giorni.
Lo Sparviere ha nidificato sul Somma – Vesuvio fino alla metà degli anni ’70. Negli anni successivi non fu più osservato nelle varie spedizioni ornitologiche e d’altronde negli anni ’80 e ’90 la specie era considerata rara in Campania.
Divenuto Presidente dell’Ente Parco nel 1997 prestavo una certa attenzione alla fauna del Parco, cosa che del resto mi sembrava ovvia considerando che presiedevo un Parco Nazionale. In quegli anni avevamo messo su un efficiente sistema di prevenzione degli incendi boschivi utilizzando i 187 LSU (Lavoratori Socialmente Utili) in dotazione al Parco in quel periodo. Ci trovavamo quindi ad avere una situazione forestale di buon livello qualitativo sia sul Monte Somma, con estesi boschi mesofili (amanti dell’umidità) di caducifoglie, che sul Vesuvio con estese leccete, boschi xerofili, cioè adattati ad un clima secco, e sempreverdi.
Confesso che speravo in un ritorno della specie come nidificante, considerando che la si osservava in periodo migratorio. La notizia arrivò nel 1998, a primavera inoltrata. Un veterinario ci fece vedere le foto di un nido con tre pulcini sul ramo di un grosso albero in un’area boscata del Monte Somma posta tra San Giuseppe Vesuviano e Terzigno. Nella sede del Parco facemmo una festa, stappammo una bottiglia di spumante e brindammo. Il Parco cominciava a manifestare i suoi effetti sulla biodiversità e venivano premiati gli sforzi che stavamo mettendo in atto per tutelare le foreste.
La riproduzione si ripeté anche l’anno successivo nella stessa zona e nel 2000 addirittura le coppie passarono a 2 con un nuovo nido trovato in una lecceta sul versante vesuviano.
Oggi in Campania la specie non è più considerata rara, anzi è divenuta comune e addirittura 2 coppie nidificano anche in alcuni vasti parchi della città di Napoli.
Mi piace pensare che il Parco, in quel periodo, sia stato tra gli artefici di questa ripresa.
Di Maurizio Fraissinet
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