Il tessuto produttivo dell’area Vesuviana
Abbiamo la soddisfazione di ospitare tra le nostre pagine virtuali un’altra delle più autorevoli voci del Vesuvio, Ettore di Caterina. Ettore è un economista, imprenditore turistico ed esperto del Vesuviano a 360°, è un raro connubio di sapere tecnico e scientifico ma anche artistico e storico, in atre parole tutto ciò che servirebbe per poter, quanto meno parlare con cognizione di causa, del turismo e del suo indotto all’ombra del Cratere.
La Redazione
Si fa presto a dire “sviluppo sostenibile”, senonché tra il dire, e il realizzare in concreto, ci passa una notevole mancanza di conoscenze in ordine a come sia organizzato il tessuto produttivo locale e quali siano le modalità attraverso le quali possa evolvere in senso “sostenibile e cooperativistico”. Con questo breve articolo si vuole pertanto fornire un primo, piccolo, ed estremamente sommario, contributo relativo alla conoscenza dei caratteri strutturali dell’economia vesuviana.
Avendo riguardo al settore primario possiamo dire che l’agricoltura vesuviana si è diffusa nelle zone ricoperte e rese fertili dai depositi piroclastici, specializzandosi in colture vitivinicole, frutticole ed orticole, site nella fascia pedemontana, ovvero in colture di tipo floristico-intensivo, site nella fascia planiziale.
Un’altra caratteristica tipica dell’agricoltura vesuviana, è la ridotta superficie colturale per unità aziendale. Tale caratteristica, conseguenza della più generale problematica del frazionamento dei fondi rustici, comporta rese tendenzialmente inadeguate a compensare i costi fissi di produzione.
L’attività agricola svolta nell’area vesuviana ha conosciuto, nel tempo, sostanziali modificazioni di tipo quali-quantitativo. La struttura basata sul latifondo, raccolto intorno alla masseria o alla villa padronale e disseminato di case coloniche, si è mantenuta sostanzialmente inalterata sino al secondo dopoguerra. La svolta nella pratica agricola locale è avvenuta nel corso degli anni 60, epoca in cui il generale fenomeno di frammentazione delle proprietà agricole è stato aggravato, soprattutto lungo la fascia planiziale costiera, dalla coeva ondata edificatoria.
Divenute impossibili le colture di tipo estensivo, gli agricoltori locali sono riusciti brillantemente a riconvertirsi ad un’agricoltura di tipo intensivo in serra (floricoltura). Quest’ultima, se da un lato si è adattata perfettamente alle limitate dimensioni e alla frammentazione dei fondi disponibili, dall’altro ha generato un pesantissimo inquinamento dovuto al largo impiego di pesticidi e concimi chimici.
A ricordo degli antichi latifondi rimangono, estremamente diffusi sul territorio e tutto sommato in buono stato di conservazione, molti esempi di architettura rurale colonica, un discreto numero di masserie e ville padronali, rilevanti tracce di un imponente sistema di irrigazione basato su pozzi vasche e condotti per il trasporto delle acque.
Negli ultimi anni si sta assistendo, inoltre, e fortunatamente, a un interessante fiorire di iniziative nel settore dell’agriturismo, delle produzioni biologiche e della viticoltura.
Per ciò che riguarda le attività di pesca, occorre sottolineare che, memori di un’antichissima tradizione marinara, nell’area vesuviana è ancora possibile individuare una discreta flotta peschereccia che costituisce, tra l’altro, una tra le principali modalità di fruizione dell’altrettanto vasto sistema portuale locale.
La commercializzazione del pescato avviene attraverso il canale indiretto dei mercati specializzati, ovvero, in misura altrettanto rilevante, raggiunge direttamente il consumatore attraverso “modalità sommerse” che eludono spesso i dovuti controlli igienico sanitari. Il settore si prefigura come uno dei più fertili in cui potrebbero attecchire iniziative di cooperazione finalizzate alla commercializzazione del prodotto, ovvero alla sua trasformazione, ovvero ancora all’avvio di attività che sfruttando lo straordinario contesto ambientale, sviluppino le notevoli potenzialità del pescaturismo. Quest’ultimo punto risulta tanto più foriero di potenzialità di sviluppo, quanto più si considera la vicinanza dei poli crocieristici e turistici della città di Napoli, delle Isole di Capri e Ischia, delle Costiere Amalfitana e Sorrentina.
L’area vesuviana si contraddistingue anche per una straordinaria vivacità in termini di attività artigianali e di piccola manifattura. Fanno da contraltare a tali caratteri positivi: frammentarietà, marginalità e stato di “immersione” di gran parte delle attività produttive, assenza di una cultura della cooperazione sia direttamente tra gli imprenditori, sia tra i soggetti istituzionali, assenza di know how in relazione a tipologie e modalità di sviluppo connesse alle aree protette e, più in generale, all’ecoturismo. Notevoli anche le problematiche insediative, in termini di reperimento di spazi adeguati afferenti al settore produttivo in discorso.
La drammatica inadeguatezza, a fini turistici, dell’offerta turistica vesuviana è attualmente parzialmente corretta dalla estrema diffusione della cessione di immobili privati, in locazione turistica. Il fenomeno sta però avvenendo in maniera del tutto spontanea e fuori da ogni tentativo di incentivazione e/o di irreggimentazione da parte degli enti a ciò preposti.
Nel settore dei servizi e della somministrazione un discorso a parte meritano i c.d. matrimonifici, ossia le strutture ristorative concepite e funzionanti solo per accogliere un tipo di clientela molto particolare: i banchetti per battesimi, matrimoni e cerimonie. Si tratta di un tipo di offerta piuttosto diffusa in passato, fortunatamente a oggi fortemente declinante per evidenti cause demografiche. L’eredità odierna dei matrimonifici è comunque identificabile nel carattere ab origine abusivo di molti di essi, pur nell’ambito delle aree più pregiate e delicate, dal punto di vista paesaggistico ed ambientale, del Parco Nazionale del Vesuvio.
Altri elementi di estrema rilevanza da considerare in ordine ai matrimonifici sono:
- la pessima qualità dei manufatti edilizi realizzati (capannoni simil-industriali con tetto in lamiera oppure grossi edifici, assolutamente decontestualizzati, caratterizzati da tipologie architettoniche con frequenti citazioni hollywoodiane)
- la sistemazione delle aree esterne speso totalmente decontestualizzate
- le grandi superfici di territorio, naturalisticamente di gran pregio, compromesse
- l’ostacolo costituito da questi “nuclei industriali” all’attivazione di modalità di sviluppo ecosostenibili.
Tutte le strutture ristorative in discorso hanno caratteristiche tali (sono in gran parte collocate in grandi edifici kitsch e sono attrezzate per competere più in relazione al rapporto quantità/prezzo, che rispetto alla qualità e all’originalità dell’offerta) da renderle inidonee per un utilizzo turistico tradizionale e, men che meno, per l’utilizzo da parte di ecoturisti e frequentatori di parchi.
L’estrema rigidità dell’offerta ristorativa attuale e la sua scarsa attrattività nei confronti di un pubblico composto da turisti, è clamorosamente dimostrata dall’attuale cospicuo flusso di visitatori del Gran Cono del Vesuvio, quasi totalmente disinteressato all’offerta ristorativa presente in loco, con la sola vistosa eccezione dell’offerta da parte di alcune aziende vitivinicola del versante boschese.
Di Ettore Di Caterina
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