La Strada Matrone e il re nudo
Una colata di 5 chilometri di cemento, lavori approssimativi, evidentemente fatti in maniera frettolosa, un qualcosa che è quanto di più distante dal concetto di sentiero e di area protetta.
Il Parco Nazionale del Vesuvio è ancora oggi lungi dall’essere quell’oasi di tutela ambientale e di legalità in cui molti si ostinano ancora a voler credere e a divulgare, permangono infatti criticità mai risolte e nuove situazioni che minano la sua stessa essenza. Purtroppo anche la sua sentieristica langue in uno stato pietoso e nonostante una campagna pubblicitaria a tappeto, soprattutto sui social e sulle principali testate locali, il risultato del “Grande Progetto Vesuvio” è quello della riapertura di pochi tratti di sentiero con lavori raffazzonati come abbiamo riscontrato proprio con l’ultimo sentiero riaperto, ovvero quello della Strada Matrone.
Innanzitutto chiariamo che al momento nessun sentiero nuovo è stato creato (esiste solo il progetto del 12° sentiero del Fruscio) ma si tratta di sentieri o tratti di sentiero già esistenti e messi in opera tra il 2001 e il 2006 e purtroppo lasciati al loro naturale disfacimento, alle intemperie e al disastroso incendio del 2017. Riprendere questi sentieri è cosa buona e giusta ma quello degli ultimi sei anni è un risultato veramente misero se si considera che solo circa 10 chilometri lineari sono stati ripristinati dei 54 preesistenti e del centinaio messo in progetto, pari a poco più del 18% del totale, contrariamente a quanto dichiarato dal commissario del parco. Nello specifico è stato riaperto solo il sentiero n°7, quello della Profìca (2.191 m.), già esistente e solo parzialmente modificato; il n°9 Il Fiume di Lava (531 m.) e il tratto che va dal cancello della Strada Provinciale del Vesuvio fino alla “Casa di Amelia” sul n°4 (2.000 m.), anch’essi già esistenti. Si è portato a termine il breve percorso didattico n°11 (750 m.) e il n°6, la storica Strada Matrone (5.000 m.), rilevando i lavori della Città Metropolitana. Gli altri sentieri, il n°1 (La Valle dell’Inferno), il n°2 (I Cògnoli di Ottaviano) e il n°5 (L’Ascesa al Cratere) sono stati sempre fruibili mentre il n°3, il circuito del Monte Somma, il resto del n°4 (La Pineta del Tirone/Alto Vesuvio), il n°8 (Il Trenino a Cremagliera) e il n°10 (L’Olivella) sono interdetti o impraticabili così come gran parte della sentieristica non ufficiale.
Per quel che riguarda la Strada Matrone, una volta unica via percorribile in auto per raggiungere il Gran Cono del Vesuvio e chiusa dal 2017 dopo l’incendio che la rese impraticabile per le numerose frane e gli alberi pericolanti, si presenta oggi come una lunga carrabile di circa 8 km, visibile anche da lontano per il massetto di cemento che la percorre per i suoi primi 5 chilometri, per poi ritornare alle sue condizioni iniziali ovvero al suo percorso misto di materiale piroclastico e basolato posato su sabbia.
Inutile dire che il cemento mal s’addice ad un’area protetta dove dovrebbero prevalere criteri meno invasivi e materiali naturali. Il precedente fondo stradale non era tanto differente da quello attuale e anche in quel caso prevalevano cemento e asfalto ma buona parte di quei lavori risalivano a un tracciato antecedente alla creazione del parco e comunque gli ultimi tre chilometri della strada erano stati allestiti con criteri senz’altro più consoni ad un parco nazionale; la carreggiata, là dove si alternava con lo sterrato, era infatti costituita da un basolato, ancora in parte presente, con una curvatura a dorso d’asino che permetteva il defluire delle acque piovane lungo i suoi lati, contrariamente al nuovo massetto di cemento costituito invece da uno strato piatto e impermeabile intervallato da canaline sagomate nello stesso manto o da caditoie molto spesso fuori assetto o dal dubbio valore estetico. Lo stesso vale per i muretti di contenimento realizzati in buona parte con materiale composito, riciclato e ridotto ad elemento lapideo e ricoperto da intonaco premiscelato di colore incompatibile con il luogo e che è stato utilizzato anche per ricoprire quei muretti in pietra lavica che ancora resistevano lungo il tracciato o addirittura sulla lava stessa, contravvenendo ad ogni regola di conservazione dei luoghi e palesemente in contrasto col piano territoriale paesistico dei comuni vesuviani.
In un contesto così delicato ci appare strano che ente parco e sovrintendenza abbiano approvato un progetto del genere, che cozzerebbe finanche con le regole delle aree urbane, là dove un cittadino che volesse aprire una finestra in un palazzo che superasse i quarant’anni, dovrebbe giustamente rispettare materiali, composizione, fare un’analisi del contesto storico, preservare gli elementi tipici e la colorazione del manufatto, tutte indicazioni previste nei piani di tutela e che devono assolutamente essere rispettate, cosa che pare, nel caso della Matrone, non sia stata assolutamente presa in considerazione. È probabile quindi che tutto ciò sia passato come ripristino parziale delle pavimentazioni esistenti, anche se, la precedente pavimentazione, pur essendo cementizia, era costituita da lapillo vesuviano e non da materiale calcareo, totalmente avulso dalla nostra zona vulcanica con materiali senz’altro più scuri e compatibili.
L’impatto che si ha è stordente, è quello di un pugno nell’occhio dal punto di vista estetico, dà l’impressione di un qualcosa di fatto in fretta e furia per la sua inaugurazione, con reti plastiche di contenimento che escono fuori sia dai muretti che dallo stesso manto stradale o canali di scolo delle acque creati con la stessa colata di cemento. L’aspetto, se si escludono gli assai malandati tre chilometri finali, quelli che conducono a quota 1000 sul versante di Ottaviano, non è quello di un sentiero ma di una strada che aspetta una nuova colata, ma questa volta di asfalto.
In effetti pare che la volontà sia quella di riaprire la cosiddetta busvia del Vesuvio, discussa linea di grossi 4×4 diesel che percorrevano la Matrone prima della sua chiusura nel 2017. L’idea è quella di ripristinarla con bus elettrici ma, qualora questa scelta fosse percorribile, ci chiediamo quanto questo contesto possa essere compatibile con la presenza lungo il tragitto di escursionisti e ciclisti.
Il potere dei social e una ben condita accondiscendenza ha fatto sì che si diffondesse l’idea della creazione di un sentiero, che in realtà sentiero non è, così come in passato ci si è dimenticati di altre criticità relative al parco. Nessuno è dunque più capace di vedere il re nudo del Vesuvio? Dov’è finito l’ambientalismo vesuviano? Perché non ci si indigna più davanti a questo ed altri scempi?
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