A quasi due anni dal disastro vesuviano facciamo un’analisi per difetto dello stato dell’arte della sentieristica vesuviana. Inutile dire che il contesto avrebbe bisogno di maggiore concretezza e meno slogan, più cognizione di causa e meno claque.
Per noi che lo abbiamo vissuto, l’incendio del 2017, rimane un ricordo fisso, un’immagine indelebile, la sensazione di un dolore costante di una ferita che rimane aperta e il timore di aver perso per sempre qualcosa di caro. L’incendio del 2017, che ricordiamo ha distrutto circa 3.200 ettari di bosco vesuviano, con danni irreparabili per flora e fauna, rimane lo spartiacque di quello che il parco nazionale del Vesuvio poteva essere e quello che invece oggi è. Un’area protetta vulnerabile e dalle scarse ed inconsistenti difese, sminuite da una sterile quanto ipocrita burocrazia.
Volenti o nolenti questo è un fatto e, per quanto lo si voglia imbellettare con qualcos’altro, rimane un fatto lo scempio ambientale al quale assistiamo, fatto di discariche, storiche, micro ed estemporanee, e di abbandono. Chi scrive queste righe è uno dei pochi che vive il parco per poi descriverlo, e lo fa nella maniera più semplice possibile, percorrendolo tutto l’anno. Ecco perché, al di là dei proclami, quello che vi descriverò e mostrerò, così come faccio ormai da almeno un decennio, è la realtà effettiva in cui versa il nostro parco e non quella virtuale della demagogia e delle anime belle da tastiera.
Orbene, a due anni dal devastante incendio, gli unici due sentieri completamente percorribili sono sempre gli stessi, il numero 1 e il numero 2, ovvero quello della Valle dell’Inferno e quello dei Cognoli di Ottaviano che, per loro natura, in buona parte anche carrabili, sono facilmente percorribili. I lavori qui effettuati sono di normale amministrazione, ovvero legati all’ordinaria pulitura dei fossi di captazione delle acque piovane, qualche staccionata qua e là e delle briglie fatte con gli alberi caduti per contenere un impluvio nel suo tratto iniziale. Non mancano anche qui, come segnalato e denunciato in passato cataste di legna, pre e post incendio e mai esboscate.
Gli altri sentieri, vuoi per la vegetazione, vuoi per le frane, vuoi per uno strano modo di intervenire, sono impraticabili o quasi. Ma andiamo per ordine: il numero 3, il circuito del Monte Somma, la sua parte alta, impervia e dal notevole dislivello, 418 metri, su uno sviluppo lineare di 2,5 km, è oramai il regno del rovo e della robinia; quest’ultima, esaltata nel primo post incendio come esempio di rinascita vegetazionale, sta oggi soppiantando le specie autoctone a danno la biodiversità locale.
Il tratto basso del numero tre, quello che segue orientativamente la curva di livello media dei 700 metri, è in parte percorribile grazie anche ai lavori degli operatori forestali della Città Metropolitana e della SMA Campania che però, come già segnalato in passato non hanno fatto altro che accatastare legna lungo i margini di questo sentiero, così come lungo quelli di altri sentieri, e a sottrarre terreno dal versante a monte per colmare quelle frane ancora attive a valle del percorso, non trovando modo migliore per peggiorare una situazione di per sé già critica. Partendo dal cancello della Provinciale, per almeno due chilometri è questa la situazione per poi diventare, nei restanti quattro chilometri che vanno fino alla località della Traversa, e nonostante i lavori di alcuni volontari, quasi del tutto impraticabile e ad alto rischio di caduta per chi lo percorre, a causa del cedimento del versante a valle e questo in un sentiero che, in certi tratti, oltre ad essere reso difficile dalla vegetazione spontanea, non raggiunge neanche il metro di larghezza.
Il sentiero numero 4, quello della Pineta del Tirone per lo meno là dove ci è concesso verificare, viste le restrizioni ancora in atto (per quel che riguarda quel tratto di sentieristica inclusa nella riserva dell’UTB di Caserta e gestita dai Carabinieri Forestali), è in buono stato ma percorribile fino alla cosiddetta Casa di Amelia. Anche qui, oltre alle uniche opere di ingegneria naturalistica degne di questo nome e presenti in area parco, costituite dalle palizzate che arginano i versanti a monte del sentiero e solo in alcuni tratti, abbiamo trovato una moltitudine di cataste di legna, in aggiunta a quelle pre incendio.
Il sentiero n°5, quello del Gran Cono è in pratica ridotto ai due affollatissimi chilometri che vanno dal varco di Quota 1000 fino ai 1.167 metri della Capannuccia. Il resto del sentiero è interdetto nel tratto che incrocia la Matrone e chiuso da una sbarra presso il rifugio Imbò.
Al sentiero n°6, ovvero la Strada Matrone, è completamente vietato l’accesso, oggetto di lavori di messa in sicurezza nel suo tratto basso, quello che parte dalla caserma dei Carabinieri Forestali a Boscotrecase, e pieno di fossi, frane e alberi caduti nel tratto alto che porta fino a quota 1000 sul versante Ottavianese.
Il sentiero n°7 ovvero quello della Profica Paliata è ancora in attesa, come il numero 9, il Fiume di Lava e il numero 11, la Pineta di Terzigno, dei conclamati lavori del Grande Progetto Vesuvio ma, al momento, non ci risulta che qualcuno abbia messo mano a questi lavori, presentati come imminenti lo scorso autunno e ancor prima. Nello specifico la Profica Paliata è un lungo stradello di campagna che diventa gradualmente un sentiero di montagna e che si perde nella boscaglia, senza grandi problemi se non quelli dello scarico di rifiuti nel suo tratto iniziale. Il numero 9 fa tutt’uno col numero 8, quello del Trenino a Cremagliera, quest’ultimo è praticamente scomparso a causa dello scorrere delle acque piovane lungo il suo breve ma ripido tratto, con una pendenza a tratti anche del 20% e con passaggi a rischio di crollo dei versanti danneggiati dal fuoco del 2017. Il numero 9 è invece un brevissimo passaggio che porta senza grossi problemi dal numero 8 fin sulla colata lavica del 1944. Il numero 11 quello della pineta di Terzigno attende di riapparire poiché del suo brevissimo tracciato attrezzato non rimane praticamente più nulla.
La conclusione di questa nostra breve disamina della sentieristica del parco, a due anni dall’incendio, è un compendio di ciò che è il Parco Nazionale del Vesuvio nella sua interezza ed è la costatazione del medesimo abbandono verificatosi nell’intervallo di tempo tra l’incendio del 2016 e quello del 2017. Abbiamo quindi riscontrato l’assenza di serie e rapide misure di intervento: l’assenza di linee spartifuoco lungo tutti i sentieri sopra descritti; la mancanza di una vigilanza costante e diffusa durante la stagione AIB; la difficoltà di muoversi lungo alcuni versanti in caso di criticità, come ad esempio accade per la ridotta viabilità del n° 3; il dissesto idrogeologico incombe costantemente sul territorio, senza per questo aver visto sin’ora opere di contenimento degne di rilievo; la grande quantità di legna e sterpaglia, tagliata e ammucchiata lungo i sentieri nonché la folta vegetazione stagionale che costituisce un ottimo innescante; le grandi quantità di rifiuto che circondano la fascia pedemontana e i margini delle carrozzabili interne al parco possono essere ulteriore carburante per l’innesco di quei malaugurati incendi che annullerebbero definitivamente la biodiversità vesuviana.
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