Il misterioso obelisco con vista Vesuvio sulla collina del Drago
La Collina del Drago, il Passo dell’Orco, monte Torre del Gatto. Tutti toponimi dalla forte suggestione ed evocativi di storie ed epoche passate che identificano però un luogo a pochi chilometri dal Vesuvio che da qui è visibile all’orizzonte quale punto di riferimento e perno alla piana campana. È qui che esiste una torre misteriosa, un vero e proprio obelisco che riserva però più sorprese di quanto la sua modesta fattura possa fare supporre.
San Giorgio e il Drago
Ci troviamo nel territorio di Castel san Giorgio in località Paterno dove quasi in cima alla collina esiste da quasi due secoli una piccola torre che è diventato un punto di riferimento per gli abitanti dei dintorni pur essendo ignota ai più la funzione originaria.
Oggi è chiamata Torre del Gatto nome locale dal quale immagino ricavato il toponimo del monte stesso riportato sulle mappe IGM, anche se secondo alcuni siamo sul Monte Cisterna.
Quale che sia il nome reale, confidenziale, storico o altro ci troviamo in un luogo importante dal punto di vista orografico a cavallo tra le valli del Sarno e dell’Irno. Un luogo ben visibile dai dintorni e dal quale da nord ovest a sud si spazia con la vista sulla piana campana dal nolano fino a Nocera, e girando verso est si arriva fino ai monti Picentini.
La torre è spesso meta di escursioni o gite fuori porta anche per il panorama che da qui si gode ma alla maggior parte dei visitatori è del tutto ignota la sua storia e la funzione che assolveva dando così origine alle più disparate e fantasiose storie.
In realtà ci troviamo davanti ad un vero e proprio obelisco tecnologico realizzato per mappare e cartografare il territorio grazie all’uso del teodolite.
La grande impresa cartografica
Per capirne il funzionamento dobbiamo fare un passo indietro nel tempo a quando nel 1781 il re Ferdinando I incaricò il geografo padovano Giovanni Antonio Rizzi Zannoni di realizzare la prima cartografia completa del regno di Napoli e di Sicilia allora ancora separati ma governati dalla medesima corona borbonica.
Nacque così la Commissione per la carta geografica, che nel decennio francese divenne poi il Real Officio Topografico. In circa 30 anni di lavoro (durate in quali realizzò numerose altre carte geografiche) il Rizzi Zannoni portò a termine la monumentale opera dell’Atlante Geografico del Regno di Napoli, che vide però la luce sotto Giuseppe Napoleone I re di Napoli e di Sicilia.
Per mappare il territorio in maniera indiretta, ossia senza recarsi in ogni più impervio e pericoloso luogo, veniva in aiuto il teodolite che grazie alla trigonometria permetteva di conoscere distanza ed altitudine di ogni punto. Per fare ciò bisognava però avere dei punti fissi e certi sui quali basare le misurazioni.
I tecnici del Real Officio Topografico provvidero quindi a realizzare una vera e propria rete geodetica del territorio al fine di individuare questi punti fissi che potevano essere elementi naturali, edifici esistenti o costruzioni realizzate all’occorrenza. Contemporaneamente venivano sviluppati i macchinari e la strumentazione tecnologica per fare le misurazioni, contribuendo al contempo a far nascere nuovi specialisti provenienti dall’oreficeria che si affinarono nel campo della meccanica di precisione come Giuseppe Spano che nel 1843 vinse una medaglia d’oro per un nuovo modello di teodolite.
Una torre di trilaterazione borbonica
Nel 1855 Ferdinando II concesse all’ingegnere Emmanuele Melisurgo la costruzione della Ferrovia delle Puglie la linea ferrata che da Napoli attraverso Avellino doveva raggiungere Foggia e Brindisi. Le vicende tecniche e imprenditoriali della ferrovia furono molto travagliate ma fu proprio grazie ad essa che fu costruita la torre sulla collina del Drago.
Infatti gli specialisti cartografi del Regno erano messi anche a disposizione della costruzione dei nuovi manufatti infrastrutturali (ferrovie, ponti, strade), e proprio per realizzare la ferrovia delle Puglie si rese necessario costruire questa torre per fornire ai cartografi un punto certo di appoggio delle misure, mancando sulle alture nei dintorni qualsiasi altro elemento fisso e riconoscibile sul quale fare affidamento.
Si provvide quindi a realizzare quella che oggi è conosciuta localmente come Torre del Gatto. Una piccola costruzione troncopiramidale alta circa 9 metri e larga alla base circa 1,5 metri, è costituita da un nucleo in pietra calcarea e da un rivestimento in conci di tufo ben squadrati. La cima, oggi corrosa, terminava con una piccola piramide in pietra calcarea e nel suo insieme poteva ricordare un antico obelisco egiziano.
La ferrovia e il primo tunnel ferroviario
Fu grazie ad essa che furono possibili le accurate misurazioni necessarie alla costruzione della strada ferrata inclusa l’apertura del primo tunnel ferroviario del Regno (e probabilmente d’Europa) che fu realizzato a colpi di dinamite proprio al vicino Passo dell’Orco al fine di mettere in comunicazione la valle del Sarno con quella dell’Irno. Il tunnel illuminato da migliaia di lanterne ad olio fu inaugurato con grandi festeggiamenti il 31 maggio 1858 dopo soli 20 mesi di lavoro.
Una passeggiata nel bosco
Una volta raggiunta Castel San Giorgio arrivare alla torre è abbastanza facile sia a piedi che in bicicletta e lungo il percorso si potranno ammirare da lontano i ruderi del castello longobardo in cima al monte omonimo.
Nei pressi della Montagna Spaccata al Passo dell’Orco, invece, si scorge l’eremo di Santa Maria a Castello.
Poi imboccata via Paterno si lascia sulla sinistra l’ex palazzo baronale e dopo circa 1,5 km di salita su una strada dal fondo sconnesso che attraverso qualche bosco e zona più rada si arriva in cima ad un passo dove sulla destra tra alcuni alberi si scorgerà la torre. Ancora pochi metri di percorso su sterrato e rocce e si è arrivati.
Come si vede dalle foto purtroppo oggi la torre è in cattive condizioni di conservazione. La piramide calcarea si è ormai persa, il tufo è stato corroso dalle intemperie ma anche dalla mano dei soliti graffitari che hanno pensato di lasciare il ricordo della propria passeggiata su quello che sicuramente pensavano essere solo un vecchio muro di tufo.
Anche per questo sarebbe auspicabile quantomeno a promuovere una maggiore conoscenza del manufatto se non un vero e proprio restauro.
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