Palloni gonfiati
Ovvero dell’attaccamento alla maglia e a quello dei soldi.
Io capisco che essere tifosi significa annullare il raziocinio e capisco pure che a Napoli al cuor non si comanda, e che vale più una calda emozione che un freddo e impopolare ragionamento critico, ma non accetto, a questo punto, che da questioni di tifo sportivo si sfoci in altro, e soprattutto che questa strana febbre, questo nuovo oppio dei popoli colpisca un po’ tutti indifferentemente, anche chi potrebbe, e dovrebbe, dare il buon esempio, portando la discussione a livelli non consoni a ciò che dovrebbe invece essere solo una semplice partita di pallone e null’altro.
Ovviamente non mi illudo che il circo del calcio cambi, visto il suo peso specifico in termini di economia e demagogia, e non cambi a maggior ragione per questo mio opinabile scritto ma, se esiste la dialettica democratica, perché non sfruttarla e dire la propria opinione anche se contro corrente? Ma soprattutto, perché devo giustificarmi?!
Certo che, se si pensa alla partita di calcio del Natale del 1914 o cosa abbia rappresentato Diego Armando Maradona, non solo per il gioco del calcio ma per tutto il popolo argentino e quello napoletano, allora quel famoso valore aggiunto, questo sport potrebbe pure averlo ma, a rischio di scendere tanto in basso, verso quel livello così ben descritto da Oscar Wilde e rischiare di essere vittima di cotanta scienza, ritengo che non sia opportuno mischiare la lana con la seta e mi ostino a sottolineare quanta falsità esista in questo contesto.
Già in passato avemmo l’occasione di speculare sul fenomeno del sarrismo e quanto questo fosse vuoto e illogico, oltre che fuori luogo il suo accostamento alla politica e a tutte quelle questioni che di sportivo avevano ben poco ma, ciò che vorremmo mettere in risalto è quanto sia ipocrita e mutevole l’atteggiamento delle tifoserie e che, se non fosse per il risalto mediatico e politico che lo sport più amato riscuote presso le masse, queste mie riflessioni e quelle degli altri meriterebbero tutt’altro risalto, dietro magari un discreto bicchier di vino al bar dello sport.
Ciò che mi fa più innervosire, da essere ragionante e ragionevole, oltre che da napoletano, è l’enfasi che viene data, talvolta a corrente alternata, all’addio dei calciatori che, con lacrimoni da coccodrillo, piangono l’abbandono della casacca a suon di milioni di euro, e vengono paragonati quasi all’operaio che, sottopagato fino a ieri, è ora costretto ad emigrare all’estero per un trattamento salariale degno di questo nome e tale da poter sfamare la famiglia. Ora io mi domando e dico: ma ad uno che guadagnerà 15 milioni netti all’anno rispetto ai 4,5 di prima, cosa cambierà nella sua vita, soprattutto alla luce dei guadagni direttamente e indirettamente in precedenza? Nulla, forse, oppure tutto, per un guadagno cospicuo rispetto a quello offerto da un presidente che lesina incentivi e aumenti, va bene, ma per favore, a questo punto, se è solo una questione di soldi, per cortesia, non cuciteci una morale sopra, perché risulta veramente offensivo per chi deve guadagnarsi da vivere ogni giorno.
Chi ama la sua squadra non la lascia, soprattutto quando non muore di fame; potrei infatti capirlo in un giocatore con ingaggi più bassi ma non per uno che guadagna milioni a stagione, se amore c’è, questo va dimostrato fino in fondo, nella buona e nella cattiva sorte, magari come un Totti che ha chiuso la sua carriera a Roma, rifiutando contratti milionari e blasonati; magari gli sarà comunque convenuto economicamente ma se n’è uscito da gran signore e andarsene a Toronto o a Vattelapesca, significa invece una cosa sola, che ciò che ti interessa sono solo i soldi e niente più, ripeto, cosa lecita, ma a questo punto non prodighiamoci in manifestazioni di finto affetto e non le si esalti attraverso i media e i social, a meno che, tutto questo non sia funzionale alla logica degli sponsor e quindi all’immagine degli stessi campioni e quindi alla nuda e cruda economia; tutto ciò fa schifo ma avrebbe quanto meno una logica, tutto il resto no!
Quindi i tanti Cannavaro, Reina, Cavani, Lavezzi, Hamšík, Mertens, Koulibaly e Insigne, solo per citare i più famosi, se hanno veramente amato Napoli, perché l’hanno lasciata? Ma soprattutto, perché quando lo fece Quagliarella questi fu lapidato mediaticamente? L’unico che voleva rimanere a Napoli e l’unico che avrebbe avuto realmente bisogno di un appoggio morale per ciò che stava subendo, fu massacrato da una tifoseria cieca e ondivaga. Certo, il caso venne fuori solo dopo qualche anno, ma i soloni del calcio e i capipopolo della tifoseria che tutto sanno e tutto vedono, perché non tollerarono allora come fecero poi con Cannavaro e Sarri che pure andarono alla Juventus?
A questo punto va capito il perché esista tanta cecità e se questa sia dovuta solo all’eccessivo attaccamento verso i colori di una squadra o ad altro, se quanto meno il tifoso sia ormai una marionetta nelle mani di un conformismo imperante che lo spinge ad esaltare le gesta della ditta di De Laurentiis o di qualcosa di peggio, perché quello del calcio contemporaneo è un concetto che di campanilistico ha ben poco, vista la scarsa presenza, non solo di napoletani, ma degli stessi italiani in una squadra che, nel caso del Napoli Calcio, vede solo 13 italiani su una rosa di 37 calciatori, ma soprattutto mi chiedo quanto alto sia il grado di masochismo dei tifosi e di chi, come un coniuge cornificato, non solo accetta il tradimento, ma lo giustifica pure!
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