Il Panettone Vesuviano, la ricetta per farlo con le “Pellecchielle” del Vesuvio
Con l’approssimarsi del Natale impareremo a conoscere alcune preparazioni tipiche dell’arte dolciaria napoletana in compagnia del maestro pasticciere Ciro Scarpato, che come già fatto la scorsa Pasqua ci regalerà le sue ricette e i segreti di quasi settanta anni di mestiere trascorsi in laboratorio di pasticceria, tra tradizione innovazione.
Il panettone vesuviano
Qualcuno potrà storcere il naso sentendo parlare di panettone nella tradizione napoletana. In effetti non avrebbe tutti i torti visto che, come è noto, si tratta di una specialità tutta milanese dall’origine antichissima che però ormai è possibile annoverare nella tradizione dolciaria di tutta Italia.
Parliamo ovviamente del panettone artigianale a lievitazione naturale, e che da qualche decennio è diventato anche un vanto anche della pasticceria napoletana i cui migliori esponenti ormai producono un panettone che non è secondo a nessuno e che in molte manifestazioni specialistiche continua a battere le produzioni più blasonate del nord Italia.
Pochi ne sono a conoscenza ma il promotore e protagonista dei panettoni artigianali a lievitazione naturale all’ombra del Vesuvio è proprio Ciro Scarpato, che già a 7 anni, nel 1952, dopo l’impegno scolastico mattutino, frequentava un laboratorio di pasticceria ed iniziava ad apprendere i segreti di quest’arte che l’hai poi portato molto lontano sia professionalmente, che letteralmente, in Italia e all’estero. Fu la curiosità che lo spinse ad avvicinarsi ai segreti della lievitazione naturale e di conseguenza del panettone artigianale.
I dolci lievitati all’ombra del Vesuvio
Ma come mai un pasticciere napoletano voleva a tutti i costi imparare i segreti di un dolce tipicamente milanese? Ce lo racconta direttamente il maestro Ciro Scarpato:
“Nel 1978 io e mia moglie Angelina fondammo a San Sebastiano al Vesuvio la pasticceria Angela. Ovviamente producevamo tutti i dolci tipici natalizi ma non potevo digerire che grazie alla pubblicità in TV ormai si faceva sempre più spazio sulla tavola natalizia dei napoletani il panettone, un dolce che veniva da lontano, un dolce buono ma che purtroppo qui era conosciuto solo per quello industriale, prodotto da marchi all’epoca blasonati che dominavano il mercato, ma di scarsa qualità”.
“In realtà il mio incontro con il lievito naturale e il panettone artigianale risale a qualche anno prima quando ancora lavoravo come dipendente. Un giorno un rappresentante di materie prime di Milano disse queste testuali parole: «Ma come? Voi qui con questo clima fate venire i panettoni da Milano?». Questa frase stuzzicò la mia curiosità, gli chiesi di più e lui, colpito dal mio desiderio di sapere ed imparare, in brevissimo mi mise in contatto con un pasticciere di Milano (un pugliese trapiantato in Lombardia da molti anni) che lavorava in un laboratorio al piazzale Loreto.
Questi fu gentilissimo e al telefono mi diede i primi rudimenti. Purtroppo lavorando come dipendente non avevo modo di poter sperimentare facilmente nuove ricette e solo quando ebbi il mio laboratorio decisi che ormai era ora di fare miei i segreti di quel dolce natalizio per provare a dare ai miei clienti un sapore nuovo, di qualità che si distinguesse da quelli industriali e perché no, provare anche ad innovarne la ricetta sempre nel solco della tradizione.”
Ma non è una contraddizione parlare di tradizione per un dolce che non ci appartiene?
“No. Credo che la tradizione possa essere innovata, così come è sempre successo. il panettone che chiamiamo tradizionale non è certo quello antico, così come i dolci tradizionali napoletani che conosciamo oggi non sono di certo quelli originari. Contrariamente a ciò che molti pensano le ricette cambiano, si adattano ai tempi, alle materie prime disponibili, alle tecniche di lavorazione. E i cambiamenti sono molto più rapidi di quello che sembra. Io stesso non uso più le ricette di quando ho iniziato, ma nemmeno di appena 10 anni fa.
Diciamo che possono convivere più tradizioni assieme. Così la tradizione dolciaria napoletana, fatta principalmente di dolci secchi che non prevedono mai l’uso del lievito, poteva convivere con la tradizione italiana e con il re dei dolci lievitati”.
E quindi iniziò a produrre i panettoni?
“Magari fosse stato così semplice. Per raggiungere l’obiettivo il processo fu molto lungo e non senza intoppi. Per prima cosa iniziai una serie di “pellegrinaggi” presso i più rinomati esperti lievitisti d’Italia, che all’epoca erano tutti al nord, per conoscere le fasi delle lavorazioni e provare a carpirne i segreti del mestiere, e poi a frequentare i corsi specialistici della scuola di arte bianca di Torino.
Tornato qui, la notte in laboratorio facevo esperimenti per migliorare il mio “lievito madre” e una buona ricetta per il panettone. Provavo e riprovavo, sono una capa tosta, e così piano piano misi a punto una mia ricetta. E devo dire che la capa tosta servì. I panettoni piacquero subito alla mia clientela che divenne sempre più vasta e questo successo fece ricredere anche i miei colleghi, che inizialmente mi prendevano in giro perché avevo deciso di contrastare lo strapotere delle grandi ditte milanesi.”
“Colleghi che poi iniziarono a chiedermi di spiegargli come fare i panettoni artigianali. E devo dire che in laboratorio ne sono passati tanti, navigati e alle prime armi (e molti di questi sono oggi nomi famosi) soprattutto di sera a fine lavoro, per apprendere come lavorare il “levito madre” e la ricetta per fare il panettone artigianale che ormai era sempre più richiesto.”
Oggi comprendiamo che questa caparbietà non è stata fine a se stessa perché grazie anche ai consigli e segreti che Ciro Scarpato ha dispensato con puro spirito di condivisione, per la diffusione della qualità nella produzione dolciaria, si è riusciti a diffondere la cultura della qualità artigianale che oggi batte decisamente le produzioni industriali. E anche se ormai Ciro e sua moglie Angelina si sono ritirati dall’attività per godersi un meritato riposo, il maestro non ha certo smesso di dedicarsi alla pasticceria, e con l’enorme passione che lo contraddistingue continua a prodigarsi nella sperimentazione di nuove ricette e nel donare consigli e consulenze, sia a semplici appassionati che a professionisti che continuano ad interpellarlo quando qualcosa nei loro laboratori va “storta”.
Tradizione e innovazione
La paziente ricerca nella tradizione dolciaria però era sempre accompagnata da una voglia di innovazione, e infatti oltre al classico “milanese” dal laboratorio della Pasticceria Angela iniziarono ad uscire panettoni dai gusti più disparati: amarene, pistacchio, noci e fichi, pesche, limoncello, marron glacé e molti altri. Ma il principe dei panettoni di casa Scarpato era quello alle albicocche realizzato con la famosa varietà “Pellecchiella“ del Parco Nazionale del Vesuvio.
Ma come nacque questa novità? Ce lo racconta ancora il maestro Scarpato.
“All’inizio della sua istituzione il Parco Nazionale del Vesuvio aveva sede a San Sebastiano al Vesuvio, a pochi passi dalla pasticceria, per cui quotidianamente incontravo i dirigenti, e i diversi presidenti che si sono succeduti alla guida del Parco, poiché venivano da noi per fare colazione, consumare un dolce, o un caffè. E fu così che, ormai circa 30 anni fa, parlando con l’allora presidente Amilcare Troiano su come coniugare la tradizione dolciaria con la produzione agricola del Parco, nacque un’idea semplicissima, unire la regina dei frutti del Vesuvio col re dei dolci lievitati natalizi.”
“In verità qualche mese prima nel corso di una manifestazione culturale presso Villa Campolieto ad Ercolano avevo già proposto una variante della torta Donizetti, tipico dolce bergamasco, fatta però con le albicocche nostrane in omaggio al grande musicista che qui ebbe la sua seconda patria.”
“Per il panettone la scelta cadde sulla varietà “Pellecchiella” che anche a maturazione resta croccante e succosa, pensavo fosse l’ideale per il processo di canditura e poi cottura. Era proprio il periodo di maturazione, per cui dopo averne raccolte un po’ nella nostra campagna iniziai subito a fare delle prove di canditura, perfezionando quella cosiddetta a freddo, e quindi mettere a punto la ricetta per bilanciare gli ingredienti con la nuova arrivata. Nacque così il Panettone Vesuviano che valorizzava in modo nuovo l’albicocca Pellecchiella”.
“Il panettone piacque subito e lo stesso presidente Troiano si incaricò anche di recapitarne molti ai colleghi parlamentari a Roma riscuotendo da tutti molti complimenti.”
Immaginiamo che questa ricetta sia super segreta.
“No, non ho mai fatto mistero delle mie ricette con nessuno, nemmeno coi colleghi. So che molti sono gelosi e le tengono strette ma io credo sia giusto condividere l’esperienza per contribuire a diffondere l’arte pasticciera, napoletana e non, sempre all’insegna della qualità, sia come materie prime che come prodotti.”
Detto ciò il maestro ci ha omaggiato della sua ricetta adattandola all’uso casalingo, con l’utilizzo del lievito di birra al posto di quello naturale, da girare a tutti i nostri lettori che volessero cimentarsi nel preparare a casa il Panettone Vesuviano con le Pellecchielle del Vesuvio.
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