Perché si diventa neoborbonico
Del perché e del per come si decide che una storia vale l’altra e che piangersi addosso conviene sempre e comunque.
Il perché si diventi neoborbonici non è un mistero e ciò accade per tante ragioni e a tante persone di tutte le risme e di tutti i contesti sociali, un po’ come accade per il calcio, là dove il raziocinio o buona parte di esso viene a mancare, in virtù di una fede o un qualcosa ad essa molto simile. Sia ben chiaro con queste mie parole non voglio offendere nessuno ma, anche l’intelligenza di chi la pensa diversamente, la mia compresa, andrebbe rispettata perché, se è vero che ognuno può credere in ciò che vuole, è anche vero che, nel rispetto dell’altrui diritto anche chi è abituato alla Storia e al pensiero scientifico, possa liberamente criticare chi si scopre storico su facebook e ricercatore su wikipedia o, ancor peggio, quando la si apprende attraverso i libri di Pino Aprile.
La mia critica, perché di critica si tratta, è fondata sul fatto che la stragrande maggioranza di costoro, dei cosiddetti neoborbonici, non ha mai approfondito la questione dal punto di vista storico ed è passato, dalle semplici chiacchiere da bar ai social senza passare mai da un archivio né tanto meno sapere che questi esistano, ciò lo dimostra il semplice fatto che vivono questa loro convinzione come una fede e attaccano chiunque la critichi e opponendo ai ragionamenti i dogmi e lo fanno spesso in maniera irritante ed offensiva quando non possono andare oltre i paletti della vulgata.
I miti di Fenestrelle, Pontelandolfo e Casalduni, il museo lombrosiano, i primati del Regno delle Due Sicilie, presunti o reali che fossero sono diventati pane per i loro denti e introiti per chiunque volesse cavalcare l’onda emotiva del meridionale represso e spesso frustrato da secoli di malgoverno pre e post unitario. Infatti, in un accostamento tutt’altro che casuale, così come chi tifa il Napoli credendo di tifare per la squadra della propria città, foraggia invece De Laurentis e i suoi mercenari, allo stesso modo chi esalta i Borbone alimenta fama e guadagni di chi scrive ed esalta il bengodi del Regno delle Due Sicilie o addirittura cavalca l’onda di questo nuovo populismo sforando nella politica.
Qual è la ragione di tutto ciò? Ce ne possono essere tante di ragioni, la prima è quella della mancanza di un punto di riferimento morale, supportata dal decadimento progressivo ed inarrestabile di vecchi e nuovi ideali politici o della stessa religione ed è, a mio parere, tra quelle più valide, la necessità quindi di una nuova causa da seguire, ma al contempo la ricerca di un nuovo nemico per esorcizzare paure ancestrali come la povertà e addossargli le tristi realtà locali come mafia, camorra e ‘ndrangheta che ora diventano frutto dell’Italia unitaria e non il retaggio atavico di una cultura del sopruso dalle radici profonde nel Meridione, tali da non dissolversi ed estendersi ancor più con l’Unità. La trasversalità del fenomeno supporta questa tesi, soprattutto quando il fenomeno passa dal circolo politico, magari camuffato da rivalsa sociale in opposizione al deprecabile regionalismo differenziato, ai consigli comunali e regionali, trovando uno spazio sempre più ampio ed eterogeneo. Una nuova ragione di essere per molti, come ad esempio per quei partiti della diaspora comunista, che hanno perso contatto con la realtà politica del Paese ma soprattutto hanno perso contatto col cosiddetto palazzo e per questo cercano una ragione nuova per tornarvi.
La logica del complotto ex post ha poi trovato terreno fertile sui social da tempo, probabilmente è nata con essi, ma ha fatto anche la fortuna di molti autori, vedi Angelo Forgione, Pino Aprile o Antonio Ciano ma al contempo è diventato anche un cavallo di battaglia del Movimento Cinque Stelle campano, portando la questione risorgimentale più volte al centro dell’attenzione, sposando gli altri populismi di cui sopra come al comune di Napoli, ma anche in Regione Campania e addirittura in parlamento sollevando mozioni e interpellanze in favore delle logiche neoborboniche o in genere complottiste paventando azioni congiunte a sfavore del Sud.
Il discorso storico è chiaro, nel Meridione ci fu una guerra, un’invasione, un’annessione con le logiche brutali che ogni conflitto bellico purtroppo contempla; nessuno però si sognerebbe di mettere in discussione eventi della nostra storia più recente, come ad esempio l’intervento fondamentale degli USA nella II guerra mondiale, eppure anche lì vi furono efferati crimini da parte delle armate alleate: le esecuzioni sommarie di Patton in Sicilia, i bombardamenti a tappeto dopo l’8 settembre e le violenze dei goumier francesi ma vedere nella storia solo quello che conviene per supportare la propria tesi è disonesto dal punto di intellettuale.
È pur vero che l’unità d’Italia non fu fatta solo per motivi ideali cioè riscontrabili nei bisogni di nazionalità e indipendenza ma anche e soprattutto dalla necessità di aprire nuovi mercati più ampi e più liberi. Certo questo conveniva in primis a un Regno di Sardegna e a un Settentrione già da tempo entrati nelle logiche mercantilistiche ma era l’auspicio anche di molti liberali meridionali e di quelle potenze straniere che gradualmente abbandonarono un Regno delle Due Sicilie ancora feudale e restio ad entrare in un ottica geopolitica più ampia.
Dire che la storia la fanno i vincitori è cosa vera ma, a questo punto, questo vale, a maggior ragione per chi aveva vinto prima dei Savoia e il riferimento va ovviamente ai Borbone e chi scrisse per loro e in loro favore quando erano loro ad essere i vincitori. Ad ogni modo, dopo 160 anni circa, la storia vera, quella delle fonti e dei documenti vien fuori e non c’è più nessuna demagogia o imposizione politica che tenga, soprattutto quando il mondo accademico internazionale, al di fuori di ogni bega locale, tratta e analizza quanto gli storici italiani scrivono.
Purtroppo, nel momento in cui il calcio è entrato in politica là dove nessun politico può esimersi dal manifestarne la fede, così oggi nel Meridione c’è bisogno di tirar fuori anche la storia o la pseudo tale per entrare nell’agone politico e per attirare sempre più simpatie. In un contesto dove si affida alla Lega e al Carroccio la propria causa politica, c’è a maggior ragione chi, come Pino Aprile crea un suo di partito, fondato anche e soprattutto sulla fede neoborbonica dei suoi seguaci e su di un revisionismo storico da lui creato. Davanti ad un leghismo, di per sé anomalo in un Sud troppe volte bersaglio degli strali e degli sberleffi leghisti ma anche di politiche in danno, è più facile lamentarsi e creare un leghismo speculare, in quasi logica contrapposizione ad un antagonista di pari livello, ma il problema nasce quando la vera vittima di questi schieramenti sarà il Meridione stesso assieme alla ragione e alla Storia, quella vera.
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