Lo sguardo che pietrifica, le tombe ipogee della Napoli greca
Per la mitologia greca le Gòrgoni erano tre sorelle dall’aspetto bellissimo, con la capigliatura serpentina e col potere di pietrificare immediatamente chi le guardasse direttamente negli occhi.
Oggi, una della sorelle, nascosta nel sottosuolo di Napoli, continua a compiere lo stesso prodigio dopo migliaia di anni. Al suo cospetto si rimane letteralmente pietrificati e increduli per ciò che si sta ammirando, una scena dai colori vividi che sembra sia stata appena completata e non oltre due millenni fa.
La necropoli dell’antica Neapolis
All’epoca il limite della murazione verso nord correva più o meno lungo l’attuale via Foria. Al di fuori delle mura si estendeva una ricca vallata conclusa da un costone tufaceo creato da antiche eruzioni.
Era qui che gli abitanti dell’antica Neapolis avevano stabilito il luogo dove celebrare i riti funebri e perpetuare la memoria dei propri cari. Oggi quella zona è nel cuore della Sanità che oltre ai tesori artistici e architettonici che custodisce a cielo aperto è uno scrigno per ciò che si cela nel sottosuolo: le antiche tombe di Neapolis.
Napoli allora era una città già sotto l’influenza osca e poco dopo romana ma mantenne per molti altri secoli la sua cultura greca e proprio a questa dovevano ispirarsi le camere funerarie presenti in zona, che risalgono al tardo periodo ellenistico a partire dal III sec. a.C. e sono state usate per alcuni secoli anche cambiando diversi proprietari.
Il complesso cimiteriale si dipanava lungo il costone tufaceo per una lunghezza di circa un chilometro lungo una strada che seguiva l’andamento della roccia nella quale erano ricavati per sottrazione i monumenti funebri.
Le tombe, oggi completamente interrate a causa delle frequenti alluvioni che nei secoli hanno periodicamente devastato la zona, erano in realtà alla luce del sole con un vestibolo accessibile dalla via rituale e una camera funeraria vera e propria al di sotto di questo.
Molti di questi ipogei oggi sono tornati alla luce, esplorati, o anche solo individuati. Molti altri giacciono ancora nel sottosuolo e forse persi per sempre.
Le straordinarie tombe ipogee della Sanità
Il complesso finora venuto alla luce certamente più interessante è quello dei cosiddetti Ipogei di via Cristallini, di proprietà privata ed accessibile dal cortile di un palazzo nella omonima via.
Il sito è normalmente chiuso al pubblico per via della sua fragilità e visitarlo è stato un vero privilegio per il quale ringraziamo Carlo Leggieri presidente dell’associazione culturale Celanapoli, il quale svolge un incessante lavoro per valorizzare questo e altri ipogei della zona, e la famiglia Martuscelli che ne ha concesso l’accesso.
La scoperta avvenne per caso
Questo sito, composto da 4 tombe, fu individuato per caso sul finire del XVII, durante le operazioni di scavo di un pozzo. Successivamente sul finire del XIX secolo grazie alla volontà e ai finanziamenti del barone Giovanni Di Donato, precisamente il giorno 20 Ottobre 1888, iniziarono le esplorazioni di queste tombe attraverso il pozzo scavato due secoli prima. L’importanza della scoperta apparve subito notevole e per raggiungere più facilmente il sito il barone fece costruire una scala che penetrava nel sottosuolo con accesso direttamente dal cortile del proprio palazzo.
La visita alle tombe
La scala è quella che si percorre ancora oggi per accedere alle tombe, la si imbocca tramite una porticina anonima e dopo circa 11 metri di discesa nel sottosuolo sbuca esattamente di fronte la tomba C.
I nostri piedi sono ormai sull’antica via rituale che correva lungo il costone tufaceo lungo la quale si aprivano i vestiboli delle tombe.
Le quattro tombe hanno sostanzialmente la stessa organizzazione delle sepolture le quali avvenivano in una camera funeraria posta al livello sottostante e raggiungibile con una scala che si apre al centro dei vestiboli. Questi, tranne che per la tomba “C” erano coperti ad arco e dalla conformazione abbastanza semplice, erano sempre aperti e accessibili a tutti per mostrare lo status della famiglia e permettere le offerte rituali e votive.
Le prime tombe individuate furono quelle oggi denominate A e B, scoperte nel 1685 tramite un pozzo scavato nel banco tufaceo che intercettò esattamente, demolendolo, un diaframma di separazione tra le due tombe che oggi appaiono come una unica entità. Come per le altre la copertura della camera funeraria è a volta ribassata.
Lungo le pareti della prima corre una serie di sarcofagi a forma di letto, le pareti invece sono intonacate e coperte da alcune iscrizioni dipinte. La tomba B invece è priva dei sarcofagi e nel complesso è più spoglia.
La tomba D riprende lo schema della A ma i sarcofagi sono più semplici e il tutto è privo di decorazione, in più una teoria di nicchie ad arco corre lungo le pareti perimetrali. Qui sono depositate anche alcune steli dedicatorie in marmo e alcuni coperchi in terracotta che erano utilizzati per chiudere i sarcofagi.
La Gòrgone dallo sguardo pietrificante
Lo stupore e la meraviglia, che sono già a livelli altissimi, aumentano al massimo quando si entra nella tomba C che senza dubbio è la più bella e interessante sia per la conformazione che per la ricchezza dell’apparato decorativo giunto fino a noi in condizioni quasi perfette.
Il vestibolo della tomba C è caratterizzato da un ingresso a timpano affiancato da due semicolonne scanalate, il tutto interamente scavato nel tufo, così come l’interno che presenta una copertura a tetto a doppia falda finemente scolpita e decorata e che probabilmente in origine doveva essere rifinita anche all’estradosso.
Quando nel corso delle esplorazioni volute dal barone Di Donato si arrivò alla tomba “C” erano presenti ancora due lastroni di pietra a sigillare l’accesso alla camera sepolcrale (le altre tombe invece risultavano già esplorate in precedenza).
Rimosse le lastre gli esploratori si trovarono davanti ad uno spettacolo incredibile la cui bellezza possiamo ammirare ancora oggi, la tomba coperta da una volta a botte era interamente decorata sia con sculture che pitture parietali, i sarcofagi riproducevano dei letti a Klìne con decorazioni estremamente raffinate. Sulla modanatura lungo le pareti erano disposti dei frutti in terracotta grandezza naturale riproducenti melograni, pere e mele, ed al centro della volta vi era ancora appesa una lucerna.
Su tutto dominava il viso scolpito di una Gòrgone, forse Medusa, circondata da serpenti su uno sfondo vivamente dipinto con fogliame e altri serpenti, che ancora oggi ci fissa col suo sguardo non appena si varca la soglia della tomba e noi al suo cospetto non possiamo fare altro che restarne pietrificati.
Cliccando qui è possibile vedere un reportage fotografico più ampio.
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.