Il Fèlice e le acque del Somma

Entrata della galleria drenante del Fèlice

Terminiamo qui il nostro viaggio tra le cosiddette sorgenti del Somma, uniche vestigia di ciò che forse furono le uniche acque vesuviane. Un esperienza tra mito e realtà ma anche tra abbandono e attivismo.

Spesso, quando si parla della storia dei luoghi, si tende ad enfatizzare quegli aspetti più eclatanti o quelli che possano dare un significato nuovo e più aulico a contesti che oggi vivono uno stato di completo abbandono. Questo concetto potrebbe essere applicato a tutte e tre le realtà che abbiamo esaminato nella nostra breve disamina giornalistica delle “sorgenti” vesuviane ma ciò non toglie l’importanza storica di questi luoghi e la necessità di una loro rivalutazione.

Innanzitutto più che di Vesuvio dovremmo parlare di Monte Somma poiché è lì che le fonti storiche e i rinvenimenti archeologici ci portano alla presenza della regimazione di quelle acque che, a seconda delle epoche e delle penne divenivano fiumi, ruscelli, lagni, alvei e così via, e spesso confondendone i nomi come è accaduto col villaggio di Veseri, confuso con un torrente e questo confuso col Sebeto ma anche in questo caso le fonti sono contraddittorie. Sta di fatto che se parlassimo di veri e propri fiumi, non solo avremmo avuto un territorio fortemente modellato da questi ma non esisterebbe neanche tutta quella confusione che ne è scaturita per la mancanza di una vera e propria connotazione geografica. Ciò non vuol dire che non esistessero in passato flussi di acqua che dalle pendici del Somma fluissero a valle anche con una certa copiosità ma da lagno a fiume di acqua ce ne passa.

Ad ogni modo le fonti antiche riportano spesso col nome di ruscello o fiume molte acque che prima della regimentazione borbonica altro non erano che torrenti alluvionali che, scendendo dagli incisi canaloni del Somma, aumentavano la loro portata in base alle piogge stagionali, né più, e né meno di quel che accade oggi con i lagni superstiti che conducono le acque a valle, come ad esempio fanno oggi quelli del Molaro, di Pollena e di Trocchia che confluiscono in un solo canale in direzione Napoli.

È possibile pure che le tante eruzioni vesuviane e un clima in continua evoluzione, abbiano sconvolto radicalmente un bacino idrografico di per sé esiguo per la sua natura vulcanica ma la realtà non doveva discostarsi sostanzialmente, tombamenti permettendo, da quello che oggi abbiamo sotto i nostri occhi, ovvero un flusso incostante di acque che dal Somma scende a valle, alimentando una rete idrica che in buona parte raggiunge il mare lungo via Argine o direttamente, come ad Ercolano e Torre del Greco; in taluni casi si congiunge col più grande sistema dei Regi Lagni, come accade per gli alvei del Sorbo e dello Spirito Santo tra Somma e Sant’Anastasia o nelle vasche di contenimento come ad esempio sul versante di Ottaviano e San Giuseppe.

Oggi, oltre ad una necessaria rivalutazione funzionale di questi lagni, con un dissesto idrogeologico amplificato dagli incendi del 2017, sarebbe opportuno rivalutarne l’importanza storica e quella turistica, ma anche facilitarne il semplice accesso e la fruizione ai locali non sarebbe un’idea peregrina, evitando in tal modo che questi luoghi non rimangano le discariche e le fogne a cielo aperto ai quali sono stati adibiti negli ultimi decenni e avvicinino, una volta e per tutte i vesuviani al Vesuvio.

Ma di esempi positivi e che vanno in tal senso per fortuna ce ne sono, e devono il loro successo più alla libera iniziativa dei volontari che a quella dovuta e opportuna delle amministrazioni locali e degli altri enti preposti. È accaduto negli anni passati presso le Gavete a Somma Vesuviana, dove un antico ristagno di acque per stillicidio è stato ridato alla popolazione e alla dignità che meritava. Mentre invece a Sant’Anastasia, se da un lato l’Olivella langue e le Chianatelle scompaiono, dall’altro c’è chi ha preso a cuore le sorti delle “Sorgenti del Fèlice”, a valle delle prime due e logica prosecuzione del Vallone del Sacramento.

Anche in questo caso, così come per Olivella e Chianatelle, ci troviamo davanti a un sistema di drenaggio; qui la galleria ha un andamento praticamente rettilineo, in direzione Sud-Sud Est e, con una lunghezza di circa 90 metri ed un dislivello in altezza di 14 metri partendo dall’ingresso risulta essere più lunga delle altre due dell’Olivella e con la portata di pochi centesimi di litro al secondo.

Un gruppo di volontari si è costituito in una paranza così come a Somma e hanno incominciato a riabilitare luoghi come la stessa Olivella, ma soprattutto la suddetta Funtanella d’o Fèlice della quale si erano temporaneamente perse le tracce, ormai persa nella vegetazione e nell’oblio. Un grazie infinito quindi alla Paranza ‘e Ciccillo ‘o bar come a tutti coloro che tutelano realmente e a proprie spese il territorio vesuviano.

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