Una volta, la maggior parte delle auto italiane erano spartane e di piccole dimensioni, ma spaziose all’interno, con motori dalle ottime prestazioni e dai consumi contenuti per l’epoca. Negli anni ottanta, l’auto per eccellenza era l’utilitaria, dalla buona aerodinamica, leggera e pratica, soprattutto in città come le nostre, dove con spazi angusti e parcheggi introvabili, facevamo di necessità virtù, e dove anche le auto di fascia superiore e le sportive seguivano opportunamente i criteri di chi il petrolio non ce l’aveva mai avuto.
Ciò non vuol dire che le automobili degli anni 70 e 80 fossero brutte, anzi, è stato proprio in quegli anni che si è consolidata la fama del design italiano nel mondo e fu in quegli anni, allora come oggi così legati ai combustibili fossili, che furono partoriti, proprio dalle case italiane, motori innovativi, durevoli e dai bassi consumi come il F.I.R.E., ma anche accorgimenti tecnologici come il twin spark, e il common rail negli anni novanta.
Malgrado gli anglicismi, il nostro paese offriva una versione tecnologica innovativa e nettamente contrapposta a quella statunitense dove le auto consumavano benzina come se non ci fosse un domani e dove le vetture, da enormi quali già erano, incominciarono a lievitare sempre più, portando il mercato locale, e più tardi quello mondiale, all’aberrazione del S.U.V.
Da ragazzo invece, proprio tra gli anni 70 e 80, il fuoristrada lo chiamavamo Jeep, perché il quattro per quattro per antonomasia era quello dei film di guerra americani e raramente se ne vedevano altri in giro, fatta esclusione per la Campagnola dell’Esercito Italiano e dei corpi di polizia. Poi c’era anche qualche fricchettone che si atteggiava a viaggiatore e uomo di mondo, sfoggiando una Land Rover o una Range Rover ma allora il fuoristrada era come il tatuaggio, ce l’avevano solo in pochi e dava più carisma e sintomatico mistero. Quelli più accessibili restavano però la Citroën Mèhari e la Pescaccia della Volkswagen e anche con queste si tendeva al risparmio e ai volumi contenuti con versioni minimaliste ed estive.
Ma arrivarono poi gli anni 90 e l’onda lunga dell’edonismo reaganiano, con la sua sfrenata ricerca di un benessere che non c’era, o pompato da aspettative che mai ci furono, e che ci avvolse e ci persuase che eravamo yankee anche noi, e fu così che pure le nostre auto incominciarono ad allargarsi. Ma il vero salto di qualità fu fatto negli anni 2000 quando le macchine divennero ipertrofiche e scostumate come il cuozzo culturista che le guidava o incominciavano a rassomigliare sempre più alla versione in scala delle automobiline della Hot wheels o della Matchbox.
Ora con l’ibrido, il bifuel e l’elettrico che avanza, uno potrebbe pensare ad una razionalizzazione dei volumi, e invece no! Le nostre strade e i nostri parcheggi sono invasi da osceni automezzi guidati da signore e signori in cerca di compensazione. Autovetture che hanno in comune solo le dimensioni con il fuoristrada, non stiamo infatti parlando di auto a trazione integrale ma, anche per differenza di costo e del resto di utilità, la maggior parte degli Sport Utility Vehicle e dei Crossover, che non sono altro che la versione gonfiata dello châssis dell’auto di base, sono normali auto ed esistono solo perché tutti vogliono avere la possibilità di accedere a ciò che è diventato, o hanno voluto che diventasse, l’oggetto del nostro desiderio. Del resto cos’è il benessere oggi se non quella illusione di poter ottenere ciò che non hai?
E va bene che oggi fanno anche i SUV elettrici, ma quanta elettricità ci vorrà per spostare tonnellate di lamiera, plastica e tracotanza? Certo, le città avranno l’aria più pulita, forse, ma saranno sempre più intasate, e la Terra non gradirà di certo un aumento di un fabbisogno elettrico prodotto sempre e comunque con combustibili fossili o non rinnovabili.
Ogni riferimento a possessori e appassionati di SUV è puramente casuale!
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