Terra vesuviana, terra vivace
Al di là della disinformazione e delle bufale che ancora girano sulla sismicità vesuviana, non possiamo negare che la nostra terra ed il nostro Vulcano siano pieni di vita e tutt’altro che inerti. Questo però non deve allarmarci ma spingerci a conoscerlo per quello che è, un vulcano quiescente.
Vivere sotto un vulcano attivo non è facile e lo è ancor meno quando ci si dimentica della sua natura e, ad ogni suo borbottio, reale o presunto che sia, il cittadino medio vive come una doccia fredda il risveglio dal suo incosciente torpore.
A ciò si aggiunge la speculazione di bassa lega, di chi approfitta di questo stato delle cose per seminare preoccupazione e guadagnare sulle visualizzazioni grazie ad un’informazione immaginifica che vorrebbe gente terrorizzata per strada e scosse avvertite anche in altre province; salvo sbagliare localizzazione dell’epicentro e dimenticando che una scossa tellurica di 2.0 a 7 km sotto il Gran Cono non sarà avvertita che dalla strumentazione dell’Osservatorio Vesuviano.
Ma Tant’è che la gente purtroppo crede e questi ciarlatani e la loro pseudo informazione trova spesso terreno fertile su cui attecchire. Spetta quindi ai fautori di una divulgazione scientifica onesta la responsabilità di informare correttamente e in prima persona, dando voce alla scienza che quando non litiga è l’unica strada plausibile per chiarire le questioni più dibattute in materia. È quindi con tatto e prudenza che vi esponiamo un fenomeno poco conosciuto in ambito vesuviano ma persistente ed attestato (vedi anche “Due Giorni al Vesuvio” di S. Carlino e G. Luogo, 2005, ed. EPNV pagg. 94-95) ed quello dell’attività fumarolica vesuviana anche a bassa quota.
L’attività delle fumarole è abbastanza visibile all’interno del Gran Cono e, in particolari condizioni meteo è possibile vedere un piccolo pennacchio di vapore fuoriuscire dalla bocca del Vesuvio ma, in almeno due contesti è possibile notare questo singolare fenomeno a quote facilmente accessibili ed è il caso della fumarola sul sentiero n°8 a San Sebastiano al Vesuvio e quella di via San Vito ad Ercolano.
Quel che esce da quegli anfratti, è per gli esperti vapore acqueo, in pratica acqua che dopo essere penetrata attraverso le fenditure rocciose o filtrata dal permeabile terreno vesuviano raggiunge gli strati più caldi, in genere rocce in via di raffreddamento e, al contatto vaporizza risalendo da dove è venuta. Questo è particolarmente visibile in inverno, con le basse temperature dove il contrasto caldo/freddo rende più evidente il fenomeno.
Se per la fumarola di Ercolano si è deciso addirittura di attestarne l’esistenza dando il nome ad un vicino B&B, a San Sebastiano la mente umana si è ingegnata nel darle una genesi tra le più fantasiose ed improponibili, del tipo sfogo della vicina discarica Ammendola & Formisano; ipotesi che ci fa capire, al di là di ogni spiegazione scientifica, quanto si preferisca più un remoto inquinamento antropico che l’ineluttabilità del fenomeno vulcanico. Purtroppo le leggende metropolitane sono dure a morire e circolano anche tra i meno ravveduti addetti ai lavori dandole ancora vigore a distanza di anni e di una discarica ormai chiusa da più di 24 anni.
Sta di fatto che per molti oggi risulta più facile spulciare da casa le pagine del sito web dell’Osservatorio Vesuviano o dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e parafrasarne i contenuti che andare a cercare fumarole sul territorio e forse solo per questo non s’è ancora speculato sull’argomento in questione che non è ancora diventato la prova provata di una biblica ed imminente eruzione vesuviana. Abbiamo quindi provato, con quest’articolo e con quelli passati, a mettere chiarezza e punti fermi in un contesto tanto semplice quanto spesso volutamente frainteso.
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