Vesuvio: l’odissea dei rifiuti alle Lave Novelle
La storia di quest’area, denominata Lave Novelle, in riferimento alle colate laviche del 1855 e del 1872, è paradigmatica e forse anche anticipatrice di ciò che è accaduto in seguito per le altre discariche vesuviane e per quelle altre aree a rischio del Parco Nazionale del Vesuvio e delle zone ad esso limitrofe. Aree dove la natura e la storia, nonché l’uomo, ne escono fortemente mortificati.
Il Vesuvio è un luogo gratificato dalla natura e per questo di notevole interesse geologico e naturalistico; un contesto dove esistono anche realtà agricole di pregio, come ad esempio quelle delle albicocche, dei pomodorini del piennolo o quelle delle pregiate uve del Lacrima Christi e della Catalanesca, sulle quali però incombono problematiche ambientali che ne mettono a rischio la produzione e l’immagine. Esistono inoltre aree archeologiche come quella presso cava Ranieri e probabilmente presso cava Vitiello a Terzigno, restituite di recente a nuova dignità; o dove i rifiuti coesistono ancora con le antiche vestigia di età classica, come accade presso cava Montone ad Ercolano. Una realtà quindi dalle alte potenzialità turistiche che davanti alla violenza degli sversamenti e degli scarichi, legali ed illegali, soccombono, frenando la libera fruizione del territorio da parte dei cittadini e di un auspicabile sviluppo economico locale.
In questo scenario spicca la realtà delle Lave Novelle, lì, l’apertura della discarica presso la frazione di San Vito (Ercolano), denominata Ammendola & Formisano dal nome dei proprietari, ed oggi collocata all’interno del Parco Nazionale del Vesuvio, risale al secondo dopoguerra. Durante questo periodo di boom economico, seguendo la pratica consolidata dell’utilizzare le cave in disuso, si crearono nel Vesuviano discariche mai ufficialmente autorizzate ma tollerate dalle autorità locali e dalle stesse utilizzate, come quelle di Pozzelle/SARI e Ranieri a Terzigno, La Porcilaia a Trecase, La “La Marca” a Somma Vesuviana e appunto l’Ammendola & Formisano ad Ercolano. Lo scopo era quello di riempire le cave di pietra lavica esaurite, intraprendendo un business molto remunerativo ma dalla dubbia legalità e per questo fin dal principio nelle mani di famiglie prossime alle organizzazioni criminali locali. Col passare degli anni, il traffico dei rifiuti illegale cresce smisuratamente, e la discarica diviene luogo dello sversamento di rifiuti industriali, tossici e provenienti anche dai distretti industriali del Nord-Italia e dall’estero e non senza conseguenze sulla salute dei cittadini. La reazione della società civile non tarda ad arrivare (il primo caso registrato risale alla fine degli anni sessanta ad opera dell’eroico Errico Cozzolino di San Sebastiano al Vesuvio, detto Erricuccio che, primo a reagire, vinse la causa contro i La Marca che volevano impiantare una discarica presso il suo vigneto tra Ercolano e San Sebastiano).
Ma è a partire dagli anni ’80 e durante tutti gli anni ’90 che iniziano le prime battaglie ambientaliste contro i disagi ed i problemi di salute che la discarica arrecava alle popolazioni locali ed allo stesso tempo i primi sopralluoghi con conseguenti denunce ed inchieste della magistratura. Contemporaneamente, visto l’avanzare dell’edilizia abusiva sul territorio, cominciano ad essere costruite abitazioni in direzione delle discariche. Contestualmente, come già annunciato dalla legge quadro sulle aree protette del 1991, grazie al decreto del Presidente della Repubblica del 5 giugno 1995, viene creato il Parco Nazionale del Vesuvio allo scopo di conservare i valori del territorio e dell’ambiente, salvaguardare le specie animali e vegetali e promuovere attività di educazione ambientale e di ricerca scientifica, presupposti spesso disattesi per la difficile realtà locale e le esigue forze e motivazioni di un Ente Parco mai entrato completamente in sintonia con i vesuviani.
Ed è proprio alla metà degli anni ’90 (1994) che avviene la chiusura della discarica (assieme a quella di Terzigno e quella di Somma Vesuviana) ad opera del Consiglio regionale della Campania, grazie ad una lunga battaglia delle opposizioni e dei comitati spontanei che si crearono in quel contesto. Tuttavia, la chiusura si rivela soltanto un provvedimento fittizio. Sebbene nel 1997, a seguito della prima emergenza rifiuti campana, a riaprire sia solo la discarica di Terzigno, a seguito della seconda emergenza rifiuti in Campania (2002-03), anche la discarica dell’Ammendola & Formisano di Ercolano viene adibita a sito di stoccaggio provvisorio prima dall’amministrazione Bossa e poi da quella Daniele (2008). In più, il decreto legge 90 del governo Berlusconi, approvato il 23 maggio 2008, inserisce la possibilità di introdurre rifiuti speciali dannosi alla salute (es. ceneri pesanti e leggere, fanghi prodotti da trattamento fisico o chimico) mascherati dietro codici CER. Va comunque detto, a testimonianza della trasversalità delle responsabilità politiche, che proprio uno degli ultimi atti del governo Prodi fu quello di aprire temporaneamente la SARI di Terzigno, giusto il tempo del superamento dell’emergenza rifiuti di quegli anni, cosa che, come facilmente poteva essere immaginato, si dimostrò molto difficile e lungi dall’essere realistico.
Attualmente, in quel di Ercolano, esiste una situazione di stasi; gli studi dei valori di fondo e la caratterizzazione dei rifiuti sversati e scaricati nel corso dei decenni permane alle indagini preliminari del 2016 per lo meno per quella decina di siti evidenziati e relativi alle Lave Novelle e zone limitrofe secondo il “Censimento dei Siti Potenzialmente Contaminati nell’ex SIN Aree del Litorale Vesuviano” (Tab.4-bis.2); magro risultato ma ottenuto soprattutto grazie alle azioni dei comitati locali che per decenni hanno tentato di attirare l’attenzione delle istituzioni attraverso azioni di sensibilizzazione e che, non senza difficoltà, hanno portato avanti le istanze di salvaguardia del territorio e della salute pubblica, spesso incontrando anche le intimidazioni e le minacce di gruppi di interesse locali.
Intanto, a ciò si aggiungono altre stime riportate anni orsono per un quadro sanitario estremamente preoccupante: ben due famiglie su tre, residenti presso la frazione ercolanese di San Vito (secondo uno screening del compianto Prof. Gerardo Ciannella dell’ospedale Monaldi di Napoli) presentavano casi di malattie neoplasiche, ma ancor più rilevante risulta essere lo studio epidemiologico S.E.N.T.I.E.R.I. (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) del 2012 che ha monitorato tutta la zona dell’allora S.I.N. “Litorale Vesuviano”, quello che va da Ercolano a Castellammare di Stabia, (SIN sta per Siti di Interesse Nazionale, oggi declassato a Sito di Interesse Regionale) rilevando le problematiche di tipo ambientale e l’incidenza tra attività industriali e di discarica in relazione all’incidenza di particolari infermità neoplasiche. In questa zona collinare estremamente fertile nota per le sue produzioni agricole d’eccellenza (ad esempio i pomodori del piennolo), gli abitanti risultarono esser soggetti a gravi patologie, prevalentemente leucemie e tumori dell’apparato respiratorio, forse anche a causa dei continui roghi di plastica e di rifiuti tossici sepolti nelle campagne circostanti la contrada. Dati particolarmente preoccupanti se si pensa che San Vito è una piccola frazione di circa cinquemila abitanti.
Venendo a fatti più recenti, tra il 2001 il 2003, come più sopra accennato, la sindaco Luisa Bossa individuò l’area Ammendola Formisano come sito di stoccaggio provvisorio di balle di CDR (Combustibile Da Rifiuti) in forza dell’Ordinanza del Sub-commissario per l’Emergenza Rifiuti in Campania n. 39 del 02.05.2003 che, successivamente (2013) fu rimosso e bruciato presso il termovalorizzatore di Acerra. In seguito, nel 2007 la discarica è stata nuovamente riaperta dal nuovo sindaco Nino Daniele, per lo stoccaggio temporaneo dei RR.SS.UU, in forza dell’Ordinanza Sindacale n. 16/07 del 21.12.2007. Da allora, il sito non è mai stato del tutto dismesso ed è tutt’oggi luogo di scarico illegale di rifiuti. Inoltre, la raccolta del percolato proveniente da tale sito di stoccaggio, non ha mai osservato criteri tali da evitarne la dispersione nell’ambiente circostante, esistono infatti immagini e filmati probanti della tracimazione del percolato in un lungo arco di tempo e assorbito dal poroso terreno vulcanico circostante.
Nel 2014 la giunta regionale della Campania stanziò circa sei milioni di euro per effettuare interventi di verifica, messa in sicurezza e bonifica delle aree comprese dal’ex Sito di Interesse Nazionale “Litorale Vesuviano” (compresa l’area dell’Ammendola & Formisano e delle Novelle) quelli che hanno appunto portato alle tabelle del 2016. I fondi regionali saranno utilizzati per lo studio della determinazione dei valori di fondo dei suoli e delle acque di falda per aree omogenee e significative ed in particolare per Terzigno, Ercolano, e la fascia litoranea Torre Annunziata-Castellammare di Stabia (euro 1.220.000). Va specificato che solo un’esigua parte degli stanziamenti totali sarà effettivamente impiegata per le “bonifiche di emergenza” per una somma ammontante all’incirca a 500.000 €. Dato quest’ultimo sconfortante se si tiene conto che l’utilizzo di quel 1.200.000€ per lo studio dei valori di fondo, coincide con la ricerca più volte già effettuata da parte di organi istituzionali quali l’Università Federico II e la stessa ARPAC. Da ciò è partìta anche un’interrogazione in commissione parlamentare (5-05359) che in data 15 aprile 2015 ad opera del deputato Luigi Gallo metteva in luce anche quest’altra incongruenza.
In conclusione, grazie all’azione dei comitati locali, la verità sulla discarica e sugli sversamenti di materiali tossici è venuta gradualmente alla luce, gettando le basi per una futura messa in sicurezza dell’area. Tuttavia, i danni provocati all’ambiente circostante ed alle attività agricole locali sono incommensurabili, soprattutto dal punto di vista dell’immagine e l’incidenza di malattie letali provocate dalla discarica è in aumento. In più, manca ancora un valido progetto di messa in sicurezza e di bonifica dell’area in questione e una reale azione da parte delle autorità di contrastare il problema degli sversamenti abusivi. Nel 2018 qualcosa si è mosso ma è stato un fuoco di paglia e l’impressione è quella che gli organi competenti, in primis i comuni, vogliano spazzare la polvere sotto al tappeto per quel che riguarda le micro-discariche e accantonare nell’oblio le discariche storiche, ben consci dell’impossibilità di un’azione definitiva e concreta per la loro reale bonifica. Del resto, se solo nel Vesuviano esistono ben 5 discariche storiche e considerato il fatto che per le 4 discariche del “SIN Litorale Vesuviano” non sono bastati oltre 5 milioni di euro neanche per affrontare seriamente la situazione, è facile immaginare una difficile soluzione del problema che per ovvie ragioni non è confinato solo presso le Lave Novelle di Ercolano o esclusiva problematica del Parco Nazionale del Vesuvio, ma vera e propria tragedia nazionale.
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