Vesuvio e San Gennaro, il misterioso affresco di una antica eruzione
L’antica Basilica di San Gennaro fuori le mura sorta in epoca paleocristiana vicino alle omonime catacombe custodisce un altro tesoro napoletano poco conosciuto, anche perché fino a pochi anni fa era praticamente invisibile.
Gli affreschi ritrovati
Si tratta di un ciclo di affreschi con episodi della vita di San Gennaro che decorano il vestibolo che precede l’accesso alla Basilica, oggi raggiungibile dell’ospedale di San Gennaro dei poveri.
Tra questi risalta quella che probabilmente è la più antica rappresentazione del Santo col Vesuvio in eruzione.
Già nel 1860 il Chiarini, nelle sue aggiunte alla guida del Celano, lamentava che le immagini fossero “guaste bistrattate pei pessimi ristauri e per le indiscrete punte e sgraffiature, che uomini ignoranti del pregio di quelle opere vi hanno apportato;”.
Il degrado da allora è peggiorato e fino a pochi anni fa gli affreschi erano praticamente illeggibili e poco si conosceva delle scene rappresentate, ma un recente restauro ha ridato visibilità agli affreschi e fatto emergere molto chiaramente soprattutto la scena in cui è rappresentato il Vesuvio in eruzione.
Il Raffaello Napoletano
L’opera è tradizionalmente attribuita ad Andrea Sabatini, esponente della pittura rinascimentale napoletana, nato a Salerno nel 1480, per questo conosciuto anche come Andrea da Salerno, e morto a Gaeta nel 1530. Nonostante la vita relativamente breve fu un pittore molto attivo e conosciuto all’epoca e secondo lo storico settecentesco e biografo di artisti Bernardo De Dominici fu anche collaboratore di Raffaello nel dipingere le stanze vaticane. Probabilmente questo episodio è ascrivibile solo alla fantasia del De Dominici che si rifaceva a racconti precedenti, ma è indubbio il riferimento alla pittura del grande urbinate nell’opera del Sabatini, soprannominato il Raffaello napoletano.
L’attribuzione critica degli affreschi in realtà è sempre stata molto controversa e secondo recenti studi se pure iniziati dal Sabatini, potrebbero essere stati completati in gran parte dal suo allievo Giovan Filippo Criscuolo.
Il ciclo di affreschi
Al vestibolo a pianta pressoché quadrata, si accede attraverso un arcone in piperno. Gli affreschi principali si trovano sulle due pareti laterali e su quella frontale, al centro della quale si apre un arco più piccolo che conduce all’antico quadriportico della basilica. Le pareti sono divise in due registri, di cui solo quello superiore è affrescato. Le scene rappresentate non sembrano seguire un ordine cronologico preciso nel raccontare gli avvenimenti.
Partendo dalla parete di sinistra, la scena con San Gennaro e il Vesuvio è anche quella meglio conservata tra tutte. Da notare però che Gennaro non è rappresentato secondo l’iconografia più conosciuta, ossia come Santo che appare nel cielo e ferma l’eruzione, ma qui lo vediamo come vescovo in atteggiamento ieratico e benedicente, e in mezzo alla sua gente che invece appare spaventata dell’eruzione. La presenza del Vesuvio quindi potrebbe essere solo un elemento per collocare nello spazio la scena, non sembra infatti che Gennaro sia chiamato a intercedere per fermare l’eruzione, cosa che avverrà con l’eruzione del 1631 in poi.
Il secondo riquadro rappresenta la scena della decapitazione del Santo e dei suoi compagni Sossio, Desiderio e Festo, per ordine del governatore Draconzio, che avviene sullo sfondo di un edifico che si può individuare come l’anfiteatro Flavio di Pozzuoli dove secondo la tradizione Gennaro e i compagni furono condannati ad essere sbranati da alcuni orsi che invece si inginocchiarono al suo cospetto. Vicino al corpo decapitato si nota anche la pia donna Eusebia con l’ampolla nella quale raccolse il sangue del Martire che ancora oggi compie il prodigio della liquefazione.
Sulla parete frontale altri due riquadri, nel primo sembra essere rappresenta l’arresto e la condanna a morte comminata da Draconzio a Gennaro e compagni che appaiono in basso a sinistra con le mani legate. Nel riquadro di destra invece è rappresentata la scena degli orsi che si rifiutano di sbranare Gennaro e i suoi compagni.
A destra di questa ci sono i due riquadri meno leggibili del ciclo. Nel primo probabilmente si può immaginare che vi fosse rappresentato l’episodio della fornace, dalla quale Gennaro ne uscì vivo dopo esservi stato rinchiuso condannato a bruciare tra le fiamme. Nel secondo riquadro della parete destra si notano due gruppi di angeli cantori e musici, probabilmente una raffigurazione della Gloria di San Gennaro.
Sul retro dei piedritti dell’arcone del vestibolo vi sono poi altre scene secondarie che sembrano raccontare la vita di uno o più monaci benedettini non meglio identificabili.
I riquadri delle scene sono sormontati da lunette nelle quali sono affrescati gli stemmi della città di Napoli, due stemmi papali (Paolo II e Paolo III) e due cardinalizi (Famiglia Carafa). Il tutto è sormontato da una ampia volta ribassata con al centro L’Eterno Padre benedicente e decorata con motivi a grottesca.
Ma quale eruzione è rappresentata?
Le poche notizie storiche riguardanti gli affreschi nulla dicono dell’eruzione, è quindi difficile affermare se sia rappresentata una eruzione in particolare o se siamo in presenza di una raffigurazione paradigmatica. Certo in tal caso sarebbe curiosamente molto dettagliata poiché nell’immagine sembra rilevarsi anche la presenza di bocche secondarie sul fianco del vulcano, che danno più l’aspetto di una “cronaca” di un episodio ragguardevole.
Probabilmente un aiuto possiamo trovarlo nelle cronache che descrivono le eruzione antiche del Vesuvio. Generalmente si racconta che prima della grande eruzione del 1631 il Vesuvio fosse in stato di quiete da molti secoli, in realtà varie cronache ci raccontano di diverse eruzioni di poco precedenti.
Il torrese Ignazio Sorrentino nella sua opera Istoria del monte Vesuvio pubblicata nel 1734 riporta alcune memorie di Ambrogio Leone, autore nolano, che potrebbero aiutarci a fare luce su questa vicenda.
In particolare l’autore nolano racconta di una eruzione del 1430 che avvenne proprio da delle bocche laterali, e una seconda eruzione avvenuta nel 1500 quando secondo il Leone si formò anche il conetto del Viulo, tra Torre del Greco e Trecase.
Questa ultima potrebbe allora essere l’ipotesi più probabile, anche considerano che il De Dominici colloca la realizzazione degli affreschi posteriormente al 1512, anno in cui Andrea tornò da Roma a causa della morte del padre.
L’autore di quest’opera quindi, Andrea o chi altro sia stato, avrebbe potuto aver assistito davvero a quella eruzione che poi rappresentò in maniera ben dettagliata donandoci quella che forse è la più antica rappresentazione di San Gennaro col Vesuvio in eruzione.
Bibliografia di riferimento
CELANO C., Delle Notitie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli, per i signori forastieri, date dal canonico Carlo Celano napoletano, Napoli 1692
SORRENTINO I., Istoria del Monte Vesuvio divisata in due libri da D. Ignazio Sorrentino Sacerdote Secolare della Torre del Greco. Dedicata all’ill.mo, e Reverend.mo Signor D. Celestino Galiano arcivescovo di Tessalonica, e cappellano maggiore del Regno di Napoli & c., Napoli 1734.
CHIARINI G.B., Notizie del dello dell’antico e del curioso della città di Napoli, raccolte dal Can.° Carlo Celano, divise dall’autore in dieci giornate per guida e comodo de’ viaggiatori, con aggiunzioni de’ più notabili miglioramenti posteriori fino al presente estratti dalla storia de’ monumenti e dalle memorie di eruditi scrittori napolitani, per cura del Cav. Giovanni Battista Chiarini, Napoli 1860
RICCIARDI G. P., Diario del monte Vesuvio, Torre del Greco 2009.
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