Una visita agli scavi della Villa augustea di Somma Vesuviana
Ottaviano Augusto morì il 19 agosto dell’anno 14 “..apud Nolam..” bastò questa notizia tramandata da Tacito e Svetonio… a far ipotizzare negli anni 30 del secolo scorso che quei fastosi resti venuti alla luce per caso in località Starza della Regina a Somma Vesuviana potessero appartenere alla famiglia dell’imperatore e che qui egli vi sia morto.
Questa e altre storie sono state raccontate questa mattina dall’archeologo Mario Cesarano, funzionario della Soprintendenza per i beni archeologici di Napoli nel corso della consueta visita annuale all’area di scavo a conclusione della campagna estiva.
Ma vi morì davvero Augusto?
La convinzione del ritrovamento della villa dove morì Augusto si fece sempre più forte anche per la spinta del governo fascista che intendeva simbolicamente ricollegarsi all’antico impero romano.
Dopo primi sommari scavi questi furono interrotti per mancanza di finanziamenti e poi del tutto dimenticati a causa delle vicende belliche.
Fu solo nel 2002 che grazie all’università di Tokyo e al gruppo di studio multidisciplinare guidato dal professore Masanori Aoyagi che si iniziò una vera e propria campagna di scavo.
Da allora gli scavi pur non facendo luce del tutto sulla struttura hanno permesso di datare la villa ad un’epoca successiva alla morte di Augusto.
A chi apparteneva?
Sicuramente chi finanziò la costruzione doveva essere un esponente facoltoso della società romana, forse un ricco possidente o un senatore, o come si è ipotizzato si trattava forse si una struttura pubblica, magari un santuario dedicato a Dioniso.
L’intero complesso ebbe vita relativamente breve visto che i resti più antichi sembrano risalire alla fine del Primo secolo e che il tutto fu coperto dalle colate di fango successive all’eruzione vesuviana del 472, detta di Pollena. Tutte le vicende dei diversi sconvolgimenti che seppellirono la villa si leggono perfettamente nella stratigrafia portata alla luce dagli scavi, nella quale si nota anche un terreno arato e numerose “bombe” vulcaniche.
Nei ultimi anni di vita il complesso subì una radicale trasformazione per essere adattato alla produzione vinaria. Sono stati trovi numerosi dolia (contenitori in terracotta interrati) per la conservazione del vino che secondo alcune stime arrivavano a contenere oltre 100.000 litri.
La visita
La visita allo scavo, magistralmente guidata dall’archeologo Mario Cesarano, inizia da quello che forse era l’ingresso della villa o forse la parte alta di una terrazza degradante verso il panorama.
La parete in mattoni con un portale a timpano e nicchie laterali conserva ancora gran parte della decorazione in stucco policromo dalla quale risaltano numerosi attributi riferibili a Bacco.
Davanti a questo un porticato sorretto da possenti coppie di pilastri in piperno si concludeva ai lati con nicchie nelle quali furono trovate una statua di donna con peplo (forse Arianna) e frammenti poi ricomposti di una statua di Bacco.
Il fronte era concluso da una teoria di colonne con alcune ancora in posizione.
Con due scale di piperno si raggiunge il livello inferiore che sembrerebbe essere quello deputato alla produzione vinaria, con una grossa canaletta sotto pavimento per il trasporto del vino verso la cella vinaria con i numerosi dolia interrati.
A questo stesso livello due ambienti absidati e decorati ad affresco fanno pensare ad un utilizzo residenziale o forse di rappresentanza. Entrambi hanno i catini absidali decorati ad effetto velario, il primo ha anche una fascia nella quale appaino Nereidi e Tritoni.
Il secondo ambiente invece è caratterizzato da una bella pavimentazione a mosaico a motivi geometrici, come lo sono anche le decorazioni ad affresco delle pareti con il tocco naturalistico di una coppia di colombi e dove una mano misteriosa appuntò, due millenni fa, il monogramma di Cristo tra l’alfa e l’omega.
In un angolo è poggiato il calco in gesso di una cesta rimasta intrappolata nei fanghi delle colate successive all’eruzione.
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